Non aveva mai ascoltato l'Opera, finché non si è ritrovata a sentirla nelle cuffie tutti i giorno per imparare le più famose arie del melodramma italiano. Con un pizzico di fortuna e tanto talento recitativo, scoperto quasi per caso, la modella e attrice Caterina Ferioli è approdata nel cast di Belcanto, la nuova serie tv in otto puntate, in onda in prima serata su Rai1 dal 24 febbraio. La storia, ambientata nella metà dell'Ottocento, è quella di Maria, interpretata da Vittoria Puccini, e delle sue figlie, Antonia, appunto Caterina Ferioli, e Carolina (Adriana Savarese), e della loro fuga dalla città natale, Napoli, per liberarsi dall’oppressione del violento marito. Unite dall'amore per la lirica, si trovano a fare i conti con tradimenti, inganni e passioni travolgenti nella Milano pre-rivoluzionaria, una città in fermento che si prepara ai moti insurrezionali che la infiammeranno nel 1848.
Nata a Bologna nel 2003, ma trasferitasi a Milano per iniziare a lavorare come modella, lo scorso anno hai esordito su Netflix con Il fabbricante di lacrime prima del debutto in una serie tv, appunto Belcanto. Com'è stato recitare in costume?
Sicuramente non avevo idea di cosa aspettarmi. Ma ritrovarmi per diciassette settimane a recitare in un'ambientazione d'altri tempi mi ha aiutato a calarmi nel mio personaggio, Antonia, una giovane donna dell'Ottocento che vive tutte le restrizioni dell'epoca e che cercherà di ritagliarsi la sua libertà.
Qual è stata la maggiore difficoltà nel tuo ruolo?
Interpretare il suo travaglio emotivo. Nella serie Antonia ha un percorso molto particolare e difficile. Sostanzialmente in discesa. Un'antieroina che attraversa tutte le emozioni possibili. La sua storia fa capire bene quanto la mente umana sia infinita e complessa.
Come ti sei avvicinata al mondo della recitazione? Hai avuto questa passione fin da bambina?
Alle medie mia mamma mi aveva iscritto a dei corsi di teatro. Al liceo invece era il professore di italiano a organizzarli e io mi divertivo. Ma non avrei mai pensato che potesse essere la mia strada. Quando mi sono trasferita a Milano per fare la modella, la mia agenzia di moda mi propose un provino per un ruolo meraviglioso, ma difficilissimo. Io da presuntuosa pensavo che sarebbe stato mio e invece non mi presero. È stato allora che ho capito di volermi impegnare nella recitazione e ho iniziato a studiare.
Com'è stato trovarsi fianco a fianco con attori affermati come Vittoria Puccini, Antonio Gerardi e Andrea Bosca? Quali sono stati i consigli più preziosi che ti hanno dato e che ti porti dietro da questa esperienza?
Vittoria per me è stata veramente una mamma sul set, mi ha dato un grandissimo aiuto nell'affrontare i ritmi della serialità, molto diversi da quelli di un film. Cambia tutto: i tempi, la durata delle riprese,... diciassette settimane sono tante, soprattutto a livello emotivo, quando hai a che fare con un personaggio così carico come il mio. Quando ero stanca o mi sentivo un po' "bruciata" e non riuscivo a capire subito le indicazioni del regista, lei mi aiutava e mi diceva come fare una determinata scena. È stata veramente preziosa. In generale ho ricevuto molti consigli, di cui sarò sempre grata. È importante ascoltare, soprattutto quando si è agli inizi. Sicuramente mi porterò dietro il rigore del regista, Carmine Elia, e dei colleghi, un rigore quasi miliare, che permette di mantenere la massima concentrazione.
La serie affronta diversi temi quali l'amore, la forza del destino, il talento, il rapporto con la madre, ma anche la sorellanza e la violenza domestica, da cui per fortuna Maria e le sue due figlie riescono a sottrarsi. Nel tuo lavoro e in generale nella vita pensi che conti di più la fortuna o il talento?
Nel mio lavoro non potrei dire che non conta un briciolo di fortuna perché io ne ho avuta quando serviva. Fortuna e talento devono coesistere, ma il talento va coltivato. Me lo dice sempre la mia manager: "Hai talento, portalo avanti. Non bisogna fermarsi". Io ho tanti coach di tutte le età, anche di 70 anni, che continuano a studiare. Lo studio è fondamentale. Ovviamente nel caso del lavoro da attrice studiare vuol dire non perdere mai la naturalezza, quindi bisogna stare attenti a non diventare meccanici.
Nella serie Maria e le figlie vivono tante peripezie, ma non si arrendono mai. Questa prerogativa è anche un tratto del tuo carattere?
Sì, mi ci sono ritrovata. Ai tempi in cui è ambientato Belcanto la condizione femminile era tragica, ma l'aspetto più bello di questa storia è che alla fine le tre protagoniste ce la fanno da sole, nonostante siano donne e forse proprio perché donne. Questa cosa me la porto dietro e fa parte del mio carattere, la mia tenacia è la mia forza. Vorrei avercela sempre, a volte tendo a crogiolarmi nella tristezza e nella noia. E invece bisognerebbe sempre riuscire ad andare avanti. Ma ognuno ha i propri tempi.
Cosa ti piace del tuo personaggio? In cosa ti ritrovi? E in cosa invece ti discosti?
Le emozioni di Antonia le ho provate anche io. Il mio personaggio ha questo velo di tristezza di fondo, di cui poi si capiranno le ragioni, quasi come se vedesse il mondo da una lente oscura. Il modo che ha lei di venirne fuori è però molto lontano dal mio. Ho fatto fatica a interpretare la sua invidia. In questo siamo molto distanti, ma penso di averla capita. Quando interpreti un personaggio, lo devi amare e comprendere.
La solidarietà femminile è uno dei tanti filoni presenti nella storia, anche se a un certo punto persino le due sorelle entreranno in competizione. Tu pensi che sia possibile fare squadra tra donne nella tua professione?
Penso che funzioni molto l'unione. Al netto della sana competizione lavorativa, non dobbiamo farci la guerra.
Che consigli daresti a chi vuole intraprendere questo percorso?
Consiglio di studiare, tanto. L'importante è non pensare mai di essere arrivati. È il problema della nostra generazione, ma se si incomincia a pensare di essere arrivati a 20 anni è finita.
Come viene vissuto da voi ragazzi il tema della violenza di genere, che poi è uno dei filoni presenti nella serie?
Sicuramente è un'emergenza. Siamo tutti vittime del patriarcato, uomini e donne. Lo sono gli uomini che pensano secondo i codici del patriarcato, e lo sono le donne, vittime di chi è a propria volta vittima del patriarcato. Il problema secondo me è alla base. Dobbiamo arrivare piano piano a distruggere questo fardello di culture passate, che possono anche evolversi. Penso che stiamo facendo un buon lavoro in fatto di educazione, siamo una generazione che si sta dando da fare. Penso che fra qualche decennio riusciremo a disossare questo mostro.
Vederlo in scena come in Belcanto può aiutare a parlarne e a prenderne consapevolezza?
Certo, perché ci rendiamo conto che i dilemmi della metà dell'Ottocento sono gli stessi di quelli di oggi. Per questo motivo Belcanto è una storia così attuale. Nel bene e nel male le gioie e i dolori rimangono gli stessi. Nella serie la violenza è enorme e molto visiva, ma non bisogna dimenticare che ne esistono di tanti generi, a partire da quella psicologica.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho finito di girare la mia seconda serie, Come un padre, una sorta di commedia napoletana. Il mio personaggio si chiama Caterina come me, ma è il mio opposto. Però non voglio svelarvi altro. Dall'11 febbraio sarò invece a Sanremo, in collegamento per il Primafestival per una settimana. Un'altra prima volta per me.