C’è un meccanismo familiare che si chiama “strategia dell’evitamento”: consiste, lo dice il nome, nell’evitare con ogni sforzo possibile qualcosa che ci spaventa. A Veronica Scopelliti in arte Noemi questa finta soluzione, e il sollievo che regala, non è mai piaciuta. Al punto che il luogo dove per la prima volta, nel 2012, le si è manifestato il disturbo di derealizzazione (un’alterazione della percezione della realtà), ovvero il palco di Sanremo, è diventato anche il posto dove è tornata, ancora e ancora. Proprio lì dove ha avuto più paura, Noemi è tornata per otto volte, ma quella di quest’anno è stata la prima a vederla, come spiega lei stessa, “camminare con passo sicuro e con piglio adulto”. Come adulta è la sua canzone, quella Se ti innamori muori che parla di crescita personale, di figli, della forza che il cambiamento esige da noi per poter essere compiuto. È il pezzo più classico di un disco, Nostalgia (Columbia Records/Sony Music), dove Noemi pesca a piene mani da tutto ciò che musicalmente ama, intrecciando il blues degli esordi, il cantautorato contemporaneo, il sound urban e influenze elettroniche. È un album che si sposa bene con, come dicono nella sua Roma, il friccicore della primavera, con i suoi profumi e i suoi colori, primo fra tutti il preferito di Noemi, “l’arancione nostalgia” di un tramonto sul mare.
Per l’enciclopedia Treccani con nostalgia si intende “il desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano”: è l’accezione che le dai anche tu?
Sì, è esattamente quella sensazione. Ma c’è altro. La radice di nostalgia è nostos, che indica il ritorno dell’eroe nei luoghi del suo passato, come Ulisse che pensa a Itaca, e sogna e desidera tornarci perché è il suo posto felice. Per me la nostalgia è sempre un ricordo bello, legato ai posti in cui uno si sente a casa, è come mettersi un maglione caldo che ti regala una sensazione di sicurezza. Anche la scelta della copertina del disco rimanda a questo bagaglio emotivo: c’è il mio luogo del cuore che è il mare, la spiaggia, la passeggiata con il mio cane, e tutto è nei toni dell’arancione, che per me è il colore della nostalgia, un colore caldo, perché la vivo sempre come un sentimento positivo. Non come la malinconia, che sento legata al rimorso, al rimpianto, ed è un po’ più blu, più triste.
Un endorsement fantastico a questo sentimento...
Potrei farle da testimonial! Mi sono accorta lavorando alla canzone che canto con Neffa, che dà il titolo al disco, che questo è un leitmotiv che lega tutti i pezzi: ho la fissa, mi sa, della nostalgia.
Di cosa sei più nostalgica?
Dell’infanzia e del periodo dell’università, che è stato quello della spensieratezza.
Quello tra te e Neffa era un duetto destinato a esistere, perché siete probabilmente i migliori cantanti soul che abbiamo in Italia: com’è andata tra di voi?
Sono una fan di Giovanni da sempre, dalle sue prime cose più rap, fino alla sua svolta pop. Collaborandoci però ho scoperto che mi piace tanto anche come persona, perché è un chiacchierone, e con lui non mi annoio mai. Ma è anche pieno di insicurezze, ha le sue zone d’ombra. Poi riconosco a Neffa il merito d’aver portato il soul in Italia con dei testi bellissimi, quindi per me è un grande maestro. Nostalgia penso sia uno dei pezzi più belli del disco, perché c’è tutto dentro: il testo, la vibe pop, la parte un po' più soul, la batteria R&B che mi ricorda i pezzi di Lauryn Hill. Insomma, ne vado fiera. E Neffa è un mondo.
Nostalgia è un disco con suoni tra presente e passato, tra atmosfere classiche e altre urban: ti rispecchia questa commistione di generi?
Ho iniziato a fare questo mestiere in un periodo storico dove la musica italiana era molto codificata e non c’era, per una come me, lo spazio per aggiungere tanti dei suoni che ascoltavo e amavo. Nel 2009 il pop era molto stretto, ma grazie all’esplosione del rap e all’arrivo della trap si è contaminato e ho potuto recuperare tutto ciò che m’ero persa. Oggi il fatto di collaborare con il mondo del rap, come per il pezzo con Tony Effe, oppure più cantautoriale, penso a Carl Brave e a Giorgio Poi, o con artiste come Ginevra, che nel disco firma Centomila notti, un pezzo uptempo fortissimo, mi rende sempre più a fuoco.
Sei nella fase della carriera in cui ti diverti di più?
Senza dubbio sono nella fase della mia carriera in cui ho più scelta perché il mondo della musica si è aperto a tantissime realtà che ho sempre amato, come l’elettronica, ma anche il cantautorato più vintage, che conosco molto bene perché ho avuto l’occasione di collaborare con dei cantautori storici incredibili come Vasco, Gaetano Curreri o Ivano Fossati. Oggi sento davvero il piacere, e non il dovere, di fare questo lavoro. Quando qualcuno fa musica, il dovere lo deve lasciare fuori dalla porta.
Parlando di contemporaneità, chi ti piace in particolare oggi in Italia?
Sono affascinata da tutta la scena nuova. Kid Yugi è bravissimo, Anna mi piace un sacco, Okgiorgio è pazzesco, ma lo è tutto il mondo di nuovi artisti che per me sono un’ispirazione.
In che modo ti fai ispirare?
Evolvendo a mia volta. Lavorando anche sulla mia voce, per renderla anche più duttile, per recuperare quella agilità più soul che avevo quando ero più piccola, e che invece adesso avevo un po’ perso; è un viaggio sempre nuovo, e ho bisogno della novità perché sono una che si annoia facilmente.
Parlavi del viaggio dell’eroe, che fa ritorno nei luoghi amati. Tu, invece, hai scelto di tornare in uno dei posti che si sono rivelati per te più difficili, il palco di Sanremo. Ma invece di starne alla larga, hai deciso di tornarci più volte. Oggi puoi dire che è stata la scelta migliore?
Sì. Sanremo ha proprio raccontato dei pezzi di me. Ognuna di quelle otto volte sono salita sul palco con un mood e con una vibrazione diversa. Dopo tutto quello che avevo passato, dopo un periodo difficile in cui sono stata molto male a livello psicologico, dopo che ho dovuto capire delle cose di me e mettere a posto una stanza che era tutta in disordine, sono tornata a Sanremo nel 2021 e quel festival è stato fondamentale. Perché ritornavo su un palco che mi aveva dato tanto, con una grande e nuova consapevolezza dovuta a tutto quello che avevo vissuto. Ci tenevo a raccontare questa mia metamorfosi e l’ho fatto grazie a Glicine, un pezzo che raccontava con grande sincerità quello che era stato il mio percorso. L’immagine di questo albero che ha radici profonde, che poi sono le nostre consapevolezze, ma poi ha anche questo fiore così delicato, che sono le emozioni, che sono alla mercé di tutti, è stata perfetta per raccontarmi. Però quell’anno sono salita un po’ in punta di piedi, su quel palco.
E quest’anno?
Quest’anno sono tornata ma non in punta di piedi. Mi sono sentita veramente grounded, e il mio passo era sicuro. Ero lì per dare tutto, per questo Se ti innamori muori, per me è il claim della vita, del mio voler vivere così, dando tutto per morire, serenamente.
Serenità è una parola che si addice all’oggi?
Sì, perché dopo che hai dato tutto, ti lasci andare al senso di abbandono che ti dà solamente la consapevolezza che di più non potevi fare. Sono contenta di aver ritrovato questa cosa: per un periodo troppo lungo della mia vita sono andata per sottrazione, togliendo e limando, ora voglio darmi.
Il 17 novembre parte il tour che avrà come gran finale la data del 20 dicembre a Roma (info: noemiofficial.it): lo stai già preparando?
Io vivo per il live, è la mia cosa preferita. Mentre registro un disco, già sogno il momento in cui potrò incontrare il mio pubblico e cantare tutti insieme. Quindi sì, penso molto alla scaletta, mi piace scrivere ex novo delle parti musicali per legare un pezzo all’altro, in modo che ci sia un racconto, anche perché da ascoltatrice amo quando un cantautore o una cantautrice narrano cosa c’è dietro un pezzo. Poi posso dire che nella data di Roma al Palazzetto dello Sport verranno a trovarmi parecchi amici che mi hanno accompagnata in questi anni di musica quindi sarà di sicuro una bella festa. Piena di momenti di nostalgia (ride).