«Il mio sogno proibito è interpretare un dramma di Shakespeare, anche se non mi illudo di essere il primo nome a cui gli Studios penserebbero. Non a caso l’epigrafe della mia autobiografia era tratta da La dodicesima notte: “Non lasciarti intimorire dalla grandezza. C’è chi nasce grande, c’è chi lo diventa, mentre ad altri la grandezza viene imposta”, confessa quella montagna di muscoli parlante (1,96 per 115 chili), soprannominata The Rock, la roccia, 53 anni.

Da quando vent’anni fa ha smesso di malmenare i colleghi su un ring di wrestling, limitandosi a farlo solo sui set cinematografici, preferisce farsi chiamare come c’è scritto sul suo biglietto da visita di CEO della casa di produzione Seven Bucks Companies, cioè Dwayne Johnson.

È il re dei franchise, e l’attore più pagato di Hollywood, invitato per la prima volta in pompa magna a Venezia, come protagonista di uno dei film più attesi del concorso, The Smashing Machine.


È il biopic di Mark Kerr, dal 1997 al 2009 campione mondiale di MMA, arti marziali miste, ma non è un film celebrativo rose e fiori, bensì un dramma che esplora anche la vita privata di un campione che il pubblico percepisce come un guerriero imbattibile, e non sa che invece ha le sue stesse paure e debolezze.

Johnson non solo l’aveva conosciuto, ma poi aveva visto The Smashing Machine: The Life and Times of Extreme Fighter Mark Kerr, un crudo documentario della HBO. E ne parlò al regista Benny Safdie, uno dei fratelli Safdie, di cui aveva molto apprezzato il film Diamanti grezzi.

Poi arrivò il Covid e passarono quattro anni, utili per vincere le sue paure («ma sarò in grado di sostenere una parte del genere?») e per trovare il sostegno di un’amica, Emily Blunt, con cui aveva fatto coppia nel franchise Jungle Cruise, e ora interpreta Dawn Staple, la moglie di Kerr.

Per Johnson è l’esordio drammatico, e per la prima volta lo vediamo perfino con i capelli. Paradossalmente è un esordio anche per Benny Safdie, che nel frattempo si è “sfratellato”, e firma da solo montaggio, sceneggiatura e regia.

Idem per Josh Safdie, che invece ha scritto e diretto da solo Marty Supreme, ma su un altro sport: il ping pong. Protagonisti: Timothée Chalamet e Gwyneth Paltrow.