Il labirinto del fauno? Ma no, Il labirinto del toro… Era questo il titolo di lavoro, scherzoso ma non tanto, del documentario Sangre del Toro, che nella sezione Venezia Classici saluta l’arrivo in pompa magna di Guillermo Del Toro a Venezia, dove nel 2017 aveva vinto il Leone d’Oro con La forma dell’acqua, e nel 2022 il Leone d’Argento con Pinocchio, poi entrambi premi Oscar.

E poi domani tocca a Frankenstein, il suo tredicesimo film, sognato e atteso da molti anni.

In realtà, ogni festival sembra il suo festival: è proprio di questi giorni l’annuncio che sarà onorato come “guest artistic director” a metà ottobre a Los Angeles, dall’American Film Institute nell’AFI FEST, per selezionare e presentare i suoi quattro film preferiti di sempre.

Stavolta Guillermo Del Toro ha un formidabile complice: il critico e regista francese Yves Montmayeur (sopra in uno scatto di Gianmarco Chieregato), già premiato a Venezia dieci anni fa per il documentario The 1000 Eyes of Dr Maddin, sul regista Guy Maddin, soprannominato “il David Lynch canadese”. Montmayeur conosce Del Toro dai tempi del suo primo film (1993) e da allora lo aspettava al varco, per aggiungerlo alla sua straordinaria collezione di ritratti di filmmaker geniali (Takeshi Kitano, Michael Haneke, Naomi Kawase, Hayao Miyazaki).

Lo spunto di partenza è stata la mostra In casa con i miei mostri, organizzata nel 2019 nell’università di Guadalajara, la città barocca in cui è nato Del Toro, con oltre mille oggetti che il regista ha pazientemente collezionato nella sua vita: un vero museo privato, “meravigliosamente mostruoso”.

Seguendo la storia e il significato di ogni reperto, come un filo d’Arianna, Del Toro si svela per quello che lui considera un complimento: un Minotauro contemporaneo.

«I veri mostri siamo noi, non loro. Quando mi chiamano “maestro,” ricordo che fra “maestro” e “mostro”, il confine è sottilissimo, appena due o tre lettere…».