Un album dei ricordi dal valore inestimabile. Sfogliare l'almanacco delle foto di chi negli anni ha transitato al Lido, si è seduto sulle poltrone rosse del Palazzo del Cinema e assaporato la dolce vita su una gondola o tra le calle, è qualcosa di magico e un tesoretto più che prezioso. Tra i protagonisti della 22esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, anche (e soprattutto) Salvador Dalì e la moglie Gala. Un'edizione quella del 1961, la prima delle due dirette da Domenico Meccoli, segnata dal Leone d'oro a L'anno scorso a Marienbad di Alain Resnais, uno degli ispiratori teorici della Nouvelle Vague, di cui fu sempre punto di riferimento (pur non aderendovi mai ufficialmente) e quella dopo l'annata "vivace" del 1960 rimasta negli annali come la più contestata in assoluto per la non vittoria di Luchino Visconti e quel capolavoro straordinario di Rocco e i suoi fratelli (il Leone andò a un anonimo film del francese André Cayatte lasciando il pubblico a dir poco contrariato).
"Noi, Gala e io, saremo gli ospiti d’eccezione di ogni festa, la gente si chiederà cosa saremo capaci di fare per stupire e provocare, come ci vestiremo e quale scomoda verità saremo in grado di tirare fuori", scriveva Dalì a Paul Eluard sul trasferimento a New York sul finire degli anni '50, modus vivendi che ha accompagnato la coppia per tutti i 50 anni passati in simbiosi. E così, Salvador si presenta a Venezia 22 con una rivoltella in mano e un bastone nell'altra, mentre Gala vestita da gran soirée non riesce a nascondere il suo ghigno di puro orgoglio. Ospiti d'eccezione alla proiezione di La sfida del samurai del regista giapponese Akira Kurosawa (per cui il protagonista Toshirō Mifune vinse la Coppa Volpi ndr), tutti gli occhi sono puntati su di loro. Missione Compiuta.
Salvador Galì e Gala, lui uno degli artisti più rappresentativi del movimento surrealista e lei, all'anagrafe Elena Ivanovna Diakonova, sua amante, musa, ispirazione (è suo il volto della Madonna di Port Lligat ndr), collaboratrice, agente, collante tra il genio e il mondo reale, la donna che "grazie alla potenza indomabile e insondabile del suo amore" lo aveva salvato dalla pazzia e dalla morte prematura, e molto di più. "Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e perfino più del denaro", ammetteva il maestro non nascondendo la devozione per una donna magnetica e dalla bellezza non convenzionale, ma universalmente riconosciuta come dotata di un fascino irresistibile. Si conoscono nel 1929, un incontro fatale che in un attimo spazza via il matrimonio di lei con il giovane poeta surrealista Paul Éluard (da cui nacque la sua unica figlia Cécile) e la relazione extraconiugale con Max Ernst: si sposano due volte, nel 1934 civilmente e in chiesa, nel 1958, a Girona (“Gala è stata prima moglie del poeta, il mio amico Paul Eluard. E ho dovuto aspettare che lui morisse per potermi sposare in una chiesa", cit).
Una vita di arte, eccessi e passione vissuta al massimo fra Parigi, la Spagna e gli Stati Uniti, dove fuggono all’inizio della seconda guerra mondiale per poi tornare in Europa nel 1948. "Avremo amanti e saremo amati, in un corto circuito dove tutto si confonde pur restando fedele a se stesso [...] ma Salvador Dalí sarà per sempre l’unico uomo che sarà riuscito a renderla felice. E soprattutto, donna". Con (anche) Venezia testimone di un legame più unico che raro.