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Tutte le volte che la moda ha mandato in passerella l’orgoglio LGBTQIA+

Dalle pionieristiche gonne per lui di Jean Paul Gaultier, alla passerella rainbow di Virgil Abloh per Louis Vuitton, passando per la coppia di spose couture di Chanel. Hit parade di pedane (non solo) arcobaleno, in un inno alla libertà di espressione

Di
jean paul gaultier, cirque d'hiver 1981
WWD//Getty Images

In Mademoiselle de Maupin, romanzo di Théophile Gautier che uscì nel 1830 suscitando scandalo, la protagonista Maddalena barattava volentieri le mussoline a favore di uniformi maschili. Del resto, lei, che lo scrittore tratteggiò ispirandosi alla cantante lirica Julie d’Aubigny, nota per essere una provetta schermitrice nonché per i suoi costumi disinibiti, era un personaggio ambiguo; in bilico tra quella grazia femminile e quel temperamento virile che la portarono ad amare (e a far innamorare di sé) indistintamente donne e uomini, in un’ode a superare le distinzioni di genere esprimendosi liberamente, anche attraverso lo stile. Un proto genderless sdoganato, in tempi più recenti, da icone del grande schermo come Katherine Hepburn e Marlene Dietrich l’unica, a sentire Giorgio Armani, “ad avere una propensione all’androgino che non scade mai nel travestitismo”, e da miti della moda come Gabrielle Chanel che spizzicando dal guardaroba dei suoi tanti amanti, tra tweed, blazer e completi, rivoluzionò lo stile delle donne ancora prima che arrivassero Saint Laurent e il suo smoking.

Dandy, drag, dominatrici: quando la moda è rottura

La storia della moda queer è del resto lunga e complessa, come ben dimostrò la retrospettiva del 2013 al FIT di New York – A Queer History of Fashion: From the Closet to the Catwalk – che con la curatela di Valerie Steel indagò tematiche come il dandismo, l’androginia o l’influenza delle sottoculture sull’estetica moderna. Basti pensare a Vivienne Westwood, che esordì sulla scena modaiola vendendo una t-shirt con stampa di due cowboy gay all’interno del mitologico SEX, e continuò con pedane piratesche in cui modelle e modelli sceglievano da sé i propri abiti indipendentemente dal sesso, o ancora a Gianni Versace e alla sua Miss S&M che tra pettorine, cinghie, catene, fibbie e borchie sublimò in passerella il guardaroba di una dominatrice couture, o ancora ad un autore come Alexander McQueen, indiscusso re nel traslare i demoni di tutti in passerella provocando il pubblico mainstream con temi come quello della salute mentale e che, ad esempio, nella pedana del 1998 ispirata alla figura di Giovanna D’Arco, attinse alle qualità androgine e trasformative della drag per profonde riflessioni su identità e resilienza.

L’estetica LGBTQIA+ tra provocazione e affermazione

Molti, moltissimi sono quindi i fashion moments che, per citarne alcuni e senza nessuna pretesa di esaustività, dagli anni Ottanta hanno visto avvicendarsi in pedana gonne indossate da lui, celeberrime artiste drag in power suit, maschere di peluche a sensibilizzare su temi importanti, o spose gay in un’alzata di voce verso l’approvazione di leggi che dovrebbero essere un diritto e non un privilegio. Per non parlare poi delle numerosissime capsule realizzate ad hoc per l’occasione che solo quest’anno, ad esempio, contemplano gli occhiali da sole multicolore Medusa Biggie di Versace, dal prezzo di vendita devoluto al 10% alla Elton John AIDS Foundation, una versione speciale e benefica delle iconiche Chuck Taylor All Star di Converse decorata con simboli e colori del Pride, o ancora la collezione Meet You In The Park di Levi's con cui il colosso del denim recupera la simbologia dei precursori del movimento celebrando la forza delle connessioni, fino ad arrivare all’ADV di Zalando che, sotto l’egida creativa del regista Matt Lambert, indaga le radici dei codici comunicativi queer, in una crasi di moda e linguaggio.

E allora, e in occasione del Pride 2025 che culminerà a Milano nella parata di sabato 28 giugno, noi di elle.it abbiamo raccolto 10 momenti in cui la moda ha mandato in passerella l’orgoglio LGBTQIA+, in un fashion amarcord che contempla pionieri nell’affrancare i capi di lei dal solo universo femminile, abili provocatori della couture e nomi contemporanei che da sempre si battono per inclusività e vestizioni senza pregiudizi.


Jean Paul Gaultier Primavera Estate 1985

Per lei blazer drappeggiati al punto vita e cappellini marinareschi, per lui giacche dai cut-out a svelare petti tonici e, soprattutto, gonne. Asimmetriche, con o senza spacco, plissé e via discorrendo. L’enfant terrible della moda Jean Paul Gaultier è stato tra i pionieri del genderless, in una commistione sartoriale che raggiunse il climax sulla passerella di Et Dieu Créa l'Homme della Primavera Estate del 1985. Per saggiarne la rilevanza, basta citare le parole di commento al défilé del New York Times: “La cosa più importante che sia accaduta nella moda negli ultimi vent’anni”. Firma stilistica del designer alla pari della marinière, del corsetto o delle coppe coniche, la gonna si fece così unisex, liberandosi da vincoli di genere con un gesto audace che diventò anche fenomeno culturale.

Thierry Mugler Primavera Estate 1992

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Guy Marineau//Getty Images

Un trionfo camp; tra bustini come musi di motociclette, body metallici che solo la statuaria Naomi Campbell avrebbe potuto indossare (e lo fece), e chaps sfrangiati da bizzarra saloon girl. La collezione Primavera Estate 1992 di Thierry Mugler si chiamava, in effetti, Les Cowboys e, in puro stile dello “scultore dei corpi” indagò con fare teatrale il complesso di significati che caratterizzano la fisicità nell’epoca contemporanea. Ad un certo punto, irruppe in passerella anche l’artista drag Lypsinka che, show nello show, orchestrò un cabaret con una sequenza di cambi d’abito che da un tailleur ultra-chic, la condussero poi ad un body metallico tutte frange, e poi ancora a un seducente baby-doll in pizzo nero. Moda, spettacolo e orgoglio queer.

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Walter Van Beirendonck Primavera Estate 1996

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William STEVENS//Getty Images

La collezione si chiamava Killer/Astral Travel/4D-Hi-D e andò in scena al cabaret parigino Le Lido, mitologica cornice per spettacoli (anche) burlesque che, negli anni, ospitò le performance di personaggi come Josephine Baker, Dalida o Shirley MacLaine. Lo show di Walter Van Beirendonck iniziò con un video di 15 minuti in cui venivano proiettate le immagini delle maschere fitte di slogan e disegni realizzate per il défilé. Nella terza parte, invece, lo stilista raccontò di una (tragica) storia d’amore tra Heidi e una capretta, in realtà incarnazione del demonio, nonché simbolo dell’avanzare in quegli anni dell’HIV. Dolcezza e shock – tanto più che le maschere peluche recitavano messaggi come “Terror Time” e “Get Off My Dick” – per una passerella che tra riferimenti fetish e cartoon sbatté in faccia una piaga non solo della comunità gay.

Chanel Haute Couture Primavera Estate 2013

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Karl Prouse/Catwalking//Getty Images

In un’immaginifica foresta di Weimar, sfilarono eroine del passato resuscitate dai romanzi di Goethe e Schiller, incedendo in completini in tweed dai grandi colletti ribassati o in abiti materici dai fiori 3D e i piumaggi esuberanti. Sul finale, la sposa – anzi, le spose – che di norma mai ci si aspetterebbe in un défilé Haute Couture chez Chanel, ossia una coppia gay con tanto di figlio, per l’occasione interpretato da Hudson Kroenig. L’obiettivo di Karl Lagerfeld? Sensibilizzare alle unioni civili, in aperto sostegno della legge proposta allora in Francia sul matrimonio gay. Non fosse chiaro il messaggio, così ribadì il Kaiser alla stampa a margine dello show: “Io non capisco nemmeno la discussione. Dal 1904 in Francia, la Chiesa e lo Stato sono separati”.

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Ashish Autunno Inverno 2017 2018

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Eamonn M. McCormack//Getty Images

“Love sees no color”, “You are much lovelier than you think”, “Why be blue when you can be gay”, o “Don’t give up the daydream”. Furono questi, suppergiù, i mantra ricamati su t-shirt, abiti e pull della passerella Autunno Inverno 2017 2018 di Ashish in cui il direttore creativo Ashish Gupta celebrò l’amore in un trionfo caleido di quelle paillettes che sono il suo tratto distintivo. Non a caso, proprio qui su elle.it, il designer svelò come l’amore – “lontano da ogni pregiudizio, perché sesso, etnia, età e tutto il resto non hanno importanza” – sia una delle sue più grandi fonti di suggestione. Più Pride di così…

Versace Autunno Inverno 2017 2018

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Victor Boyko//Getty Images

Impossibile una ricognizione sulle passerelle che hanno omaggiato le comunità LGBTQIA+ senza menzionare Donatella Versace, da sempre pubblica sostenitrice della causa e del resto lei stessa, per anni, ingiustamente e sbrigativamente etichettata come sorella di o musa di Gianni, e mai deus ex machina di molte delle invenzioni della Medusa come in realtà è ed è stata. Fortissima, come del resto tutti i suoi défilé, fu la passerella per l’Autunno Inverno 2017 2018 che a chiare lettere mandò un messaggio: Unità. Coraggio. Amore. Lealtà., schedulato su un guardaroba sexy e a tratti sportivo, dalle valchirie Versace con i capelli colorati alla maniera punk. Per una femminilità potente e abiti che, è il caso di dirlo, parlano da soli.

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Burberry Primavera Estate 2018

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Samir Hussein//Getty Images

Il canto del cigno di Cristopher Bailey da Burberry e una delle passerelle arcobaleno più d’impatto degli ultimi anni, tra i fasci di luce con i colori della bandiera creata nel 1978 dall’artista americano Gilbert Baker, su ispirazione del brano Over the Rainbow di Judy Garland. In pedana, un caleidoscopio di tinte e graffiti – sui piumini, sui cardigan granny style, sulle felpe e sulle buste della spesa in omaggio alla club culture e alle radici proletarie del direttore creativo – culminanti in un trench dall’iconico interno check e dall’esterno soffice e arcobaleno. Un orgoglio queer non solo estetico, visto le donazioni a supporto di alcune associazioni LGBTQIA + che il brand effettuò contestualmente allo show.

Louis Vuitton Primavera Estate 2019

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Victor Virgile//Getty Images

Il debutto di Virgil Abloh alla guida creativa del menswear di Louis Vuitton, in una pedana rainbow simboleggiante l’inclusione e chissà, probabilmente anche quella di un ragazzo ghanese-americano laureato in architettura che, dopo aver bazzicato nello street wear, arrivò su uno degli scranni più importanti di Francia. Lunga poco meno di duecento metri, quella passerella si intitolò proprio Color Therapy e calcata da modelli provenienti da ogni parte del globo, fu l’affermazione che la diversità, anche nella moda, è bella.

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Marco Rambaldi Autunno Inverno 2022 2023

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Victor Virgile//Getty Images

Musa di passerella; Valentina Nappi che sfilò in abitino a maglia fregandosene dello sguardo sulle forme burrose, gli anfibi alti da dominatrice, gli occhi bistrati di celeste e le labbra disegnate a cuore da un rossetto rosso. È lei, del resto, la degna erede delle altre icone che suggerirono la Nuova Poetica Post Romantica di Marco Rambaldi per l’Autunno Inverno 2022 2023. Moana Pozzi, Anna Oxa o Cicciolina, donne forti, determinate ed emancipate che mai si sono lasciate intimidire dalla morale borghese e benpensante, “donne che a loro modo – come disse il designer bolognese – hanno cambiato la società”. E in pedana (come sempre da Rambaldi che anche i in tempi di ritorno all’ordine è tra le mosche bianche per cui l’inclusione è la normalità), fisicità di ogni tipo, ragazzoni in culotte e reggiseni crochet, di una moda che celebra l’artigianato come gesto d’amore e gli abiti come segni d'identità senza pregiudizio.

Gucci Primavera Estate 2023

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Daniele Venturelli//Getty Images

Una passerella in cui “l’esplorazione della duplicità diventa affermazione dell’unicità”. 68 coppie di gemelli e una collaborazione con FUORI! acronimo di Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, ossia una delle prime associazioni impegnate nella lotta per i diritti degli omosessuali, fondata nel 1971 a Torino da Angelo Pezzana, cui seguì la pubblicazione della rivista omonima pubblicata fino al 1982 e omaggiata da Alessandro Michele nella passerella Primavera Estate 2023 di Gucci. Seguito da ben tre punti esclamativi, il nome del collettivo campeggiò su salopette o su giacche tramate di paillettes liquide, in un omaggio a quegli attivisti che aprirono al dibattito sulle tematiche di genere.

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