Assolutamente bandite dai sentieri delle Cinque Terre, con buona pace dei turisti che scambiano i percorsi escursionistici per défilé e che, se ostinati, saranno costretti alla salata multa di 2.500 euro, e recentemente (ri)bannate anche da palchi e gallerie del Teatro alla Scala. Assieme a shorts, canotte e cibo d’asporto, che sciabattare con il take away mentre in scena c’è la Turandot pare giustamente inappropriato. E dire che la genesi è da upper class, sicché in Egitto, cinquemila e passa anni fa, erano prerogativa di faraoni, nobili e sacerdoti. Silhouette vagamente a barchetta, suola intrecciata da foglie di palma o di papiro, et voilà il tab-tebs, calzatura sputata all’infradito di oggi fatta eccezione per la punta rialzata, decorata a dovere per la royal family di allora. Di siffatti sandali, se ne trovarono perfino nella tomba di Tutankhamon. “Erano uno status symbol – ha detto a proposito l’archeologo Andre Veldmeijer, autore di una ricerca pubblicata nel volume Tutankhamun’s Footwear: Studies of Ancient Egyptian Footwear –, usato solo da quelle élite che erano premiate dal re e dai reali. Questi sandali erano così importanti che vennero persino copiati utilizzando l’oro”.



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John S Lander//Getty Images

Con suola in paglia di riso o legno, invece, sono fabbricati gli zōri, calzature tradizionali giapponesi con caratteristica stringa ad Y che trattiene il piede non facendo così distinzioni tra destra e sinistra, spesso indossate con i tabi ossia i calzini, nell’atto più antiestetico possibile non fosse poi stato per Martin Margiela. Sono i più somiglianti alle attuali ciabattine infradito e in effetti proprio esportate dai giapponesi dopo il secondo conflitto mondiale, con la complicità delle enormi quantità di gomma prodotta nel Sol Levante. Gli statunitensi ne andarono pazzi, diffondendo sulle spiagge il verbo in plastica, onde evitare dolorose bruciature sulla sabbia rovente. Le chiamarono jandals tributando il popolo a cui avevano scippato l’idea, per poi virare all’onomatopeico flip flop in uso ancora oggi. L’exploit negli anni Novanta, con lo zampino della brasiliana Alpargatas che dal 1962 progettava il sandalo ispirato agli zōri con l’etichetta Havaianas, riproducendo la fibra di riso dell’originaria suola, in forma di grana sulla gomma vulcanizzata e risemantizzando così il motivo della cultura nipponica per un nuovo oggetto à la mode legato all’utopico immaginario di uno stato di perenne vacanza.

Dagli zōri giapponesi al boom brasiliano

“Le prime pantofole con le dita”, fu uno dei primi claim del brand che, negli anni Ottanta, arrivò addirittura a vedere inserite dal governo le sue infradito nella lista dei beni di prima necessità, monitorandone così l’inflazione. Una popolarità in crescendo che raggiunse il climax nei Duemila smarcando la calzatura dalle sole spiagge e legittimandola nell’empireo dei feticci modaioli grazie ad un arcobaleno di colori irresistibile, nonché per mezzo di collaborazioni con designer e celebrità. Nel 2007, ad esempio, l’azienda imbellettò le flip flop di dieci stelle in oro bianco per un valore complessivo di 1.500 dollari, poi inviate ad attori e registi candidati all’Oscar, proponendo così un’alternativa comoda ma über chic alle tradizionali calzature indossate da dive e divi sul tappeto rosso.

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Stephane Cardinale - Corbis//Getty Images

La scalata pop delle flip flop

Per dire che, in fondo, Jennifer Lawrence sul red carpet di Cannes avvolta nella nuvola scarlatta di un maestoso ball gown di Dior e ai piedi ciabattine, non inventò nulla. “Le mie scarpe erano di un numero più grande”, si giustificò l’attrice ad Entertainment Tonight raccontando come la scelta non fosse un atto politico di disaccordo a quell’etichetta che oggi la kermesse ha messo nero su bianco nel suo vademecum sul nuovo dress code che limita giga-strascichi e nudità. Del resto, già Gwen Stefani andò di flip flop agli MTV Video Music Awards del ‘98, mentre sua maestà la regina del minimalismo Gwyneth Paltrow le sfoggiò alla prima di Bounce nel 2000 con immancabile abito monastico.

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Amy Graves//Getty Images

Nei primi decenni del nuovo millennio, in effetti, si videro tra strade e passerelle un po’ in tutte le salse: dai listini incrostati di strass come quelle di Paris Hilton in tutina low rise, con zeppa come quelle di Britney Spears inconfondibilmente rosa candy, sottrattive e decisamente più raffinate come sfilarono sulle pedane di Michael Kors e Sonia Rykiel, o invece colorate da una fascia in spugna arancione come si videro da Etro nel 2018.

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Victor Virgile//Getty Images
Le infradito sulla passerella di Michael Kors per la Primavera Estate 2018

Moda anni 2000 e sperimentazioni di passerella

Dopo un periodo di oblio, oggi le infradito sono tornate in pompa magna ad animare feed e pedane. E ricerche, se è vero che il puntuale Lyst che monitora visualizzazioni e vendite sul suo pingue inventario ha messo sullo scranno dei prodotti più hot del momento le infradito Dune di The Row dal prezzo di cartellino di 780 euro. No, non hanno la suola in cachemire, no non hanno la stringa ad Y in seta, sono fatte di gomma e gros grain e hanno naturalmente polarizzato l’opinione pubblica e fatto scrivere quintalate di articoli a tema (tra cui, un po’, anche questo).

E dire che non sono nemmeno le più costose della storia e già nel 2011 la griffe di Los Angeles Chipkos ne produsse un paio da 18mila dollari, con finiture in oro e dipinte a mano dall’artista David Palmer, ma per una buona causa, ossia la preservazione della foresta pluviale del Costa Rica. E c’è da dire poi che del controsenso di commercializzare la calzatura democratica per eccellenza a prezzi folli sono maestri anche da Loewe, si veda l’infradito cicciotta in gommapiuma con – attenzione – dettaglio di anagramma in metallo lucido e suola ergonomica acquistabile per 650 euro, o da Balenciaga che ha traslato fibbie e borchie (ma scintillanti) della sua Cagole su flip flop da 450 e rotti euro. Va meglio da Dolce&Gabbana, la cui collaborazione con Havaianas tra stampe ruggenti o botaniche, eco pelliccia e crochet, si aggira tra i 130 e i 230 euro. Insomma le infradito piacciono, a comuni mortali e a star che le ri-contemplano a glossa del look come fatto da Jonathan Bailey in divisive Dune all’anteprima londinese di Jurassic World: Rebirth, benedette da Gigi Hadid in abitino A-line bouclé by Marc Jacobs, riscattate da Irina Shayk in completo sartoriale a Cannes o nella raffinatezza della combo camicia, jeans e Birkin a passeggio per New York.

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Aeon//Getty Images

Il tormentone divisivo dell’Estate 2025

Vero (e forse unico?) fashion tormentone dell’Estate 2025, avvistate in cortocircuito a maglie marinière e sottovesti in pizzo nello scrolling infinito su Instagram, avvistate in quasi tutte le pedane che contano – da Alaïa a Zimmermann, passando per Chloé che le ha progettate jelly e con cinturino alla caviglia –, c’è chi le ama alla follia e chi inorridisce al primo slap slap.

Chissà se Tom Ford, notoriamente un detrattore, con quelle di The Row si farebbe seppellire…