110 anni di Chanel Haute Couture; di gesti ripetuti e costantemente rinnovati, di un’armonia suonata di concerto con atelier flou e laboratori Métiers d’Art, di passaggi tra première e petite mains che tramandano instancabilmente i principi della messa in opera delle leggende della maison. Le cuciture delle giacche, le asole dei bottoni, le invisibili catene negli orli che cadono perfettamente a piombo, la passamaneria dall’effetto diamante. I codici doppia C; incorruttibili dacché Mademoiselle – nel 1915 e dopo il successo ottenuto con quei cappelli sobri venduti tra Parigi e Deauville – fondò la sua Maison de couture a Biarritz con l’aiuto del grande amore Arthur Capel. Indossare Chanel è come “vestire una seconda pelle, ma assolutamente sontuosa”, dice Vanessa Paradis. “È fatto su di te, per te”, racconta invece Naomi Campbell nel video teaser di questa collezione messa a punto ancora una volta dallo Studio Stile di rue Cambon, in attesa del nuovo capitolo della storia che porterà la firma Blazy.
Per ora, si gode di uno spettacolo vibrante, per certi vesti inaspettato, con le mannequin a camminare svelte sulla pedana a doppia C che sembra citare il nido di Mademoiselle al numero 31 di rue Cambon. Lì, a metà strada tra il salone di rappresentanza, lo studio e gli atelier, in quel luogo simbolico dove Coco sbirciava i suoi modelli senza essere vista, in quell’appartamento privato dove ogni giorno, prima di recarsi a dormire all’Hotel Ritz, brevettò il vestire moderno.
E la collezione Chanel Haute Couture Primavera Estate 2025 che sfila oggi, non tradisce lo spirito della fondatrice. È fresca, moderna, indossabile; gli orli sono corti e perfino la sposa virginale che è la deliziosa (e ormai super top) Lulu Tenney, incede in gonna plissé dal monumentale strascico fitto di piume, un giacchino corto incrostato di cristalli e profilato di bianco. I fili connettivi della storia Chanel ci sono tutti; le mille variazioni sul tema del classico tailleur che ha le maniche a sbuffo e i bottoni gioiello, una sottile cintura ribassata e un tot di mini. A pieghe, a leggerissime balze, a portafoglio; come quella che si apre lasciando scorgere un vivido satin magenta en pendant ad una blusa lavallière che ci ricorda come la maison – oltre alla sobrietà dei beige, dei bianchi e dei neri che furono fissazione di Coco – possa essere molto di più. Possa vestire una donna giovane con abitini dalle spalle in fiore, con giacche in tweed dai baveri accesi, con tailleur bermuda profilati di camelie, sigla del savoir faire immediatamente riconoscibile della più antica maison di Haute Couture ancora in attività.
Un’identità globale, un serbatoio stilistico immenso, fatto anche di abiti leggerissimi tramati di cristalli, di giga-cappe cobalto, stratificazioni di tulle e piumaggi sparsi ma certosini ad imbellettare il collo di evening dress, o quello di un abito in degradé zuccherino da moderna jazz girl. In passerella nemmeno l’ombra di una borsetta, ma in compenso una sinfonia di mitologiche scarpette bicolore che lasciano il calcagno scoperto, Mary Jane con zeppa o tacco basso che confermano l’allure facile, seppure Couture, dell’intero show.
Un tableau di colori, forme e riflessi che tratteggiano silhouette delicate, e una sinfonia di desiderabilità che attende solo di essere rinnovata. Poiché come disse a suo tempo Karl Lagerfeld lasciando presagire quale sarebbe stato il suo approccio tutt’altro che reverenziale, “Chanel è un look, un mood, una concezione che io devo portare in un altro decennio. Questo look ha già attraversato diversi purgatori ai tempi di Chanel. Ma è abbastanza forte da adattarsi a tutte le epoche”. Come sarà l’epoca Blazy?