A lei si sono ispirati (quasi) tutti. Compreso un insospettabile Rick Owens che al Financial Times ha dichiarato: "Amo il suo riserbo e la sua moderazione quasi severa. Aveva un approccio monastico e al contempo sensuale. Ho sempre voluto essere una versione à la Sid Vicious di Madame Grès". Soprannominata la Sfinge della moda – poiché custodi gelosamente la sua persona, romanzando sulle proprie origini al punto da non rendere certa nemmeno la data di nascita – Madame Grès fu maestra indiscussa di drappeggio; vate dell'abito senza cuciture e precorritrice di un approccio senza tempo che oggi definiremmo minimalismo. I suoi lavori classicheggianti, ispirati alla statuaria ellenistica a disciplinare apparentemente senza sforzo jersey di seta, mohair, satin cerato o crin di nylon, furono un trionfo di plissé e moulage, di bellezza fluida in cui il rispetto per il corpo e i suoi movimenti ebbero sempre la meglio sulla sofisticazione delle forme, eleggendo di fatto Grès a regina della couture francese. Chanel, con quel fare impenitente ed egoriferito che le era proprio, battezzò i suoi abiti come "pezzi di stoffa appesi ad un busto", celando con il disprezzo quella che doveva essere in realtà un’ammirazione (e un timore) per la sarta che modellando la stoffa direttamente sul corpo, compì magie ancora oggi imitatissime.
A Madame Grès è dedicato un libro di recentissima pubblicazione; prima esaustiva monografia sulla leggendaria couturière curata da Olivier Saillard, desiderio formato coffee-table a (ri)scoprire la vicenda di una maison che, nonostante la chiusura negli anni Ottanta, continua a suggestionare la moda contemporanea. S’intitola semplicemente Madame Grès Couture Paris e in 128 pagine distilla il genio della sarta amata (tra le altre) da Marlene Dietrich, Grace Kelly, Jackie Kennedy ed Edith Piaf, potenziando il testo con gli elegantissimi scatti delle opere di Madame Grès collocate nelle cornici del Musée Bourdelle di Parigi e dello SCAD FASH Museum di Atlanta.
Chi era Madame Grès, la Sfinge della moda
Del resto, Germaine Émilie Krebs, questo il suo nome di battesimo, avrebbe voluto fare la scultrice. “Per me, è la stessa cosa lavorare la stoffa o la pietra”, ebbe a dire una volta. Si avvicinò alla sartoria probabilmente per l’impossibilità di soddisfare un desiderio inadatto ad una ragazza della piccola borghesia della Parigi del primo Novecento. La leggenda narra che apprese le tecniche di taglio e cucito da una première d’atelier, prima di diventare modellista presso la maison Prémet Place Vêndome. La svolta, tuttavia, avvenne nel 1934 quando assieme alla sarta Julie Barton fondò la casa di moda Alix Barton, distinguendosi sin da subito per un impareggiabile talento creativo, capace di forgiare silhouette audaci e al contempo semplicissime. Il suo lavoro attirò ben presto l’attenzione degli investitori che la spinsero a diventare unica guida di quella maison Alix che, aprendo le proprie porte all’83 di rue du Faubourg Saint-Honoré, richiamò sin da subito a sé facoltose clienti parigine ed internazionali, nonché un grande numero di star del cinema e personalità dell’epoca. Arrivò anche la consacrazione della stampa, con Vogue Paris ad esprimersi così sugli abiti che la sarta-scultrice aveva creato per l’opera La guerra di Troia non si farà di Jean Giradoux: “Questa linea antica è resa da Alix la sua linea moderna: infatti i suoi costumi sono à la mode, subito indossabili. Come il testo dell’opera, sono di grande attualità”. Fu in questo periodo che assunse il nome con cui oggi è universalmente conosciuta; quel Grès che era anagramma di Serge, l’artista russo che sposò nel 1937, ovvero “il nome che rappresenta l’essere a me più caro”, come lei stessa raccontò.
Donna caparbia, fiera e coraggiosa, con la liquidità ottenuta dalla vendita delle sue quote della maison Alix, e sotto suggerimento di Lucien Lelong allora presidente della Camera Nazionale della Couture parigina, nel 1942 fondò la Maison Grès e, stagione dopo stagione, inanellò un successo dopo l’altro, intagliando e cesellando il tessuto nella forma di abiti che accompagnavano i movimenti della donna senza costrizione, con una fluidità che si faceva beffa delle rigide regole della sartoria. “Non conoscevo il mestiere di taglio e cucito. L’ignoranza è qualcosa di molto importante, dona purezza e innocenza, ti porta a provare cose che gli altri non oserebbero fare”. E così mentre Dior ripristinava corsetti e crinoline, lei alleggerì, brevettando nuove tecniche come il dritto filo, consacrando il minuzioso plissé – tinteggiato in una palette spenta e polverosa di cui divenne maestra indiscussa – ad arte immune alle voghe capace di trasformare le donne in dee contemporanee.
Instancabile, autentica stakanovista della couture, in Madame Grès Couture Paris Saillard la descrive come un’eccentrica maniaca del lavoro incurante della pubblicità, appassionata collezionista di quadri olandesi del XVII secolo e croci bizantine, solita ad arrivare in atelier alle sei del mattino per poi uscirne alle due di quello successivo. Dal 1951 iniziò a realizzare alcuni capi sotto l’etichetta di Grès Boutique, realizzando un sottrattivo prêt-à-porter di lusso che anticipò il minimalismo e, traslando le tecniche couture su completi, abiti e cappottini dalla linee essenziali, prive di orpelli ed ornamenti, forgiò un dailywear che avrebbe resistito tenace alla prova del tempo.
Eppure, a rimanere cristallizzati nel sogno della moda, furono soprattutto quei drappi greco-romani cuciti il meno possibile, realizzati con tagli sicuri ed esuberanti – “Il taglio è la fase più importante della creazione di un abito. Per ogni collezione che produco, consumo tre paia di forbici” – che divennero vessillo di una vestizione libera e intrisa di coerenza che fece scuola. A Madame Grès si sono ispirati oggi non solo il già citato Rick Owens, bensì anche Haider Ackermann per Jean Paul Gaultier, Maria Grazia Chiuri per Dior e, ovviamente, Azzedine Alaïa; grande collezionista dell’opera della sarta parigina, recentemente in dialogo con la couture del Re delle aderenze nella mostra Alaïa/Grès. “La perfezione è uno dei miei obiettivi. Perché un abito possa sopravvivere da un’epoca all’altra. Deve essere estremamente puro. Questo è il grande segreto della sopravvivenza di una creazione”.
Madame Grès fece la sua ultima apparizione pubblica agli Oscar della Moda del 1988 all’Opéra Garnier, ritirandosi successivamente la presentazione della collezione, composta di 21 modelli, per la Primavera Estate 1988. Morì nel ’93 in una casa di riposo di La Vallette-du-Var, eppure la sua opera, oggi stampata su carta glossy di un volume che si preannuncia da collezione, è indimenticabile leggenda della moda. Eterna, come nelle volontà della sua creatrice.