“Abbigliamento femminile” e il suo corollario, “abbigliamento maschile”, sembrano, da tempo, privi di significato. Osserviamo uno scatto di Oliviero Toscani per L’Uomo Vogue, Dicembre/Gennaio 1971/72. Il titolo, un provocatorio Unilook. Lui e lei alla stessa maniera, è solo un altro modo per intendere la formula albiniana di Unimax, partorita per l’appunto dal maestro fondatore del Made in Italy Walter Albini, all’anagrafe Gualtiero Angelo Albini, laddove l’anglofonizzazione del nome risponde di per sé alla necessità di uno spazio dove esibire il proprio io ironico e dissacrante. E in effetti, mostrare un uomo e una donna in completo greige, uniforme nel taglio e nel colore indipendentemente dal proprio genere, era, negli anni Settanta, piuttosto dissacrante. E lo era nonostante, circa un secolo fa, una certa Gabrielle Chanel avesse messo pantaloni da garzone addosso alle donne senza alcun imbarazzo per le differenze anatomiche fra i sessi. Lo era nonostante gli anni Sessanta, quando uomini dai capelli lunghi con fantasie floreali, pantaloni a zampa e motivi paisley sfidavano le convenzioni su come un uomo dovesse apparire. Perché anche allora quella sfumatura di confine che ammetteva completi rigidi per le donne e paillettes per gli uomini si considerava una prerogativa da rockstar: da ammirare addosso a David Bowie e Jimi Hendrix, da imitare in specifici contesti di divertimento per fan devoti, da ridicolizzare altrove – e specialmente a Wall Street.

Anni Settanta-Novanta: demitizzare la figura del macho men

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© Oliviero Toscani
Oliviero Toscani, Unilook, 1971

Al netto di tali premesse, non sorprende dunque che ad ogni giro di volta – che nel caso della Fashion Industry corrisponde a circa un ventennio, la vessata quaestio del genere si riproponga. Chiamiamo in causa il 1977, quando Diane Keaton vestiva bombette, pantaloni larghi e ogni altro anti-archetipo dello star look – quello compreso di abito lungo, capello cotonato e femminilità ingessata, per intenderci – nella pellicola Io e Annie. Invitata regolarmente sulle pagine delle peggio vestite a suon di sbagliato, sbagliato, sbagliato, la moda di Keaton disturbava ben pensanti ed economisti della moda per il suo realismo imperfetto, per la capacità di esprimere qualcosa di diverso dalla monumentalità hollywoodiana simil-statuetta-dorata.

Passando da icone a stilisti, chi altro ha preso in prestito i componenti dell’uniformità e del comfort maschile per trasformarli in altro è stato Saint Laurent, responsabile di aver messo in smoking le signore e aver demitizzato la figura del macho men con fiocchi e nastri. Una degna armatura è ciò che, nella forma di rigidi imbottiti, Saint Laurent ha dato a legioni di donne, perché di quello avevano bisogno per entrare in uffici che non le volevano. Dieci anni più tardi sarebbe arrivato Giorgio Armani che, in un mondo per fortuna cambiato, avrebbe eliminato le imbottiture e destrutturato il completo. Armani inizia a parlare di abbigliamento androgino come “trasposizione di genere”: stessi tagli puliti, stessa palette minimalista, stesso approccio pittorico al grigio, per lui e per lei.

Vent’anni più tardi – siamo nei Novanta – la sentenza è che il completo, oramai smontato come un Humpty Dumpty della moda, non si può più ricomporre allo stesso modo. Le fodere sono state eliminate, la giacca rovesciata, le cuciture messe in mostra, le incertezze della trapassata cultura machista imbastite negli orli. Nel 1994 l’editorialista Katherine Knorr scriveva sul New York Times: “Date un’occhiata ai negozi femminili: quello che vedrete è il grande ritorno dell’abbigliamento maschile”. Si chiedeva allora di dimenticare il power-suit in favore di giacche lunghe e larghe, pantaloni ampi, gilet, fodere di seta, tasche interne e tessuti che naturalmente si sarebbero scelti per gli uomini.

Anni Novanta-estate 2025: vestirsi come star (maschili) del passato per essere alla moda oggi

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Gutchie Kojima/Shinko Music//Getty Images
Nirvana, 1992

Che una donna potesse essere fatalmente glamour in completo lo avevano già dimostrato Marlene Dietrich, Greta Garbo e Katharine Hepburn, fra le altre. Ma che potesse emergere anche nel modo grottesco, nichilista e post-nucleare delle sub-culture punk-grunge, furono le star degli anni Novanta a dirlo: “Il motivo per cui trovo così impressionanti i vestiti da uomo sulle donne è perché non ho altrimenti notato un’alternativa ai vestiti femminili frou-frou e ai revers rigidi maschili”, diceva lo stilista americano Isaac Mizrahi. La nuova moderna ispirazione comprendeva giacche da boscaiolo, camicie e maglioni davvero maschili – nessun riadattamento, si badi bene – e gilet per donne stufe di essere estremamente alla moda.

Ricorrere al vintage per rimasticare il passato è una delle poche – se non pochissime – tendenze mai trascorse nell’età della moda veloce. Lo dimostra il fatto che, a stagione estiva ben avviata, si parli di icone di stile maschile come fonte di ispirazione “per i tuoi look dell’estate 2025”. Denim, camicie sbottonate, completi di lino e dettagli in camoscio per un’estate multicolore ma minimalista, fortemente influenzata dalla musica pop, dallo sport, dai videogiochi del primo techno-capitalismo e da una certa non curanza: in effetti, tutti elementi che hanno caratterizzato quel pot-pourri indie-sleaze-grunge che sono stati i ‘90 per lui. Si guardi dunque a Jared Leto nel 1997, membro eletto della Gucci-gang negli anni del “ragazzo del maglione”, alle maglie con graffi e graffiti di Kurt Cobain, ai blazer e pantaloni “spaziosi” di Matthew Perry e alla sicurezza dai colori pop-brillantanti di Will Smith.

Rumorosa, a strati, profondamente radicata nell’identità e nella non-conformità, la moda uomo usciva allora dagli schemi, anche al di là dei palchi rock dove era già consentito farlo. Ricercava una via di fuga al completo in un mondo plasmato dalla globalizzazione Internet. Iniziava allora l’ascesa dei cargo, del bomber come pietra miliare dell’outdoor, dei dolcevita, delle camicie in flanella, dei loghi vivaci di Tommy Hilfiger e Calvin Klein. Tale è la moda che – bomber esclusi –si chiede di recuperare per l’estate 2025. O meglio, che le collezioni attualmente in vendita hanno recuperato, fra denim sparso come ultima lucidatura sul look e in ogni dove (cardigan, gilet, completi, shorts e gonne mini-midi-maxi); sandali con calzini; cappelli da pescatore in blu navy; collane d’oro e lunghi pendenti; gioielli con conchiglie stile surf; anfibi e camicie a quadri stile grunge.

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