Appollaiata su una chaise longue con immancabile sigaretta, lo sguardo sognante proiettato chissà dove e una cascata di bijoux su nero, il caschetto disciplinato da un cerchietto con maxi fiocco di gros grain, Gabrielle Chanel si fa ritrarre da Horst P. Horst in un interno parigino nel 1937. E chissà se lo studio creativo della maison di rue Cambon, sul moodboard che nei mesi scorsi ha suggerito l’immaginario di Ribbon of Life, avrà contemplato anche questo scatto di quella mademoiselle cui si deve gran parte del vestire contemporaneo. Lo si è detto spesso in questi ultimi mesi, forse per mandar giù qualche collezione che non ha soddisfatto le (altissime) aspettative che si hanno nei confronti non di una griffe, bensì di un simbolo universale dello stile, o forse ancora per ribadire come i tailleur bouclé, le décolleté bicolore, le borsette che lasciano le mani libere, e la petit robe noir che lusinga tutte, siano segretamente state il coup de foudre di moltissime con la moda, la sensibilità e le intuizioni di una donna nata con niente che ha finito per forgiare un guardaroba eterno di cui fu lei stessa ottima interprete.

sfilata chanel autunno inverno 2025 2026: recensionepinterest
Carlo Scarpato
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È su questi codici imperituri che indugia ancora oggi la maison, che segue la curva dolce di un fiocco per punteggiare una collezione che riattiva il desiderio griffato Chanel, sotto il tetto di vetro del Grand Palais e un nastro irrimediabilmente nero progettato dallo scenografo Willo Perron a librarsi nell’aria fenduta dalla luce di un martedì mattina parigino. Il fiocco, feticcio glamour dal Seicento in poi e vezzo con cui Coco impreziosì i suoi tailleur, aggiorna tutto: le scarpette metà glossy metà calzino macramè su tacco oro, il tulle nero di una mantella che doppia e contrasta il tweed, la divisa sportiva e irriverente che ospita il trompe-l’oeil profilato di perle, il maxi-colletto di una blusa che è cascata di volant, o le imbottiture di un duvet che rimpiazza il tecnico con la dolcezza.

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Carlo Scarpato
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Nastri piccoli o voluminosi, traforati o intagliati a sbocciare sui colletti e sui polsini di camice e abiti, su cardigan e pull, o ad accumularsi sulle collane per finire poi ammorbiditi dalla nappa matelassé di mitologiche borsette. “Un teatro di illusioni oniriche”, etichetta a ragione la collezione la maison alludendo agli inganni artigianali che cesellano il défilé; tra insiemi in jeans sfumato in chiffon, tra la leggerezza di una seta che sembra tweed, tra trench in pizzo di lana intarsiati di eco pelliccia, o ancora tra il divertissement di una borsa a tracolla che è filo continuo di amatissime perle.

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C’è freschezza, c’è energia da rue Cambon, una maison “mai lontana dall’universo delle favole”, e un universo di “maestria e immaginazione”, tinteggiato di bianco e nero, ma anche di rosa candy floss, verdi latte-menta e vibranti rossi, come nel completo a tre pezzi in tweed con micro giacca foderata di scarlatto, gonna e pantaloni ampi à la Coco maniera. I feticci dello stile doppia C che giocano con sovrapposizioni, misure e volumi scandendo un ritmo chic e vivace dove il cardigan smilzo tanto amato da Gabrielle si irrobustisce di una giga tricottatura, l’amata giacca bouclé si fa smanicato, e l’eleganza anni Venti di un cappello a cloche convive con la giocosità di mini beauty case da agganciare al polso o lillipuziane (e specchiate) 2.55 in nappa trapuntata.

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E forse il segreto è tutto qui; attingere allo smisurato serbatoio (non solo) iconografico di Chanel, mai dimenticando quel tocco leggero e arguto con cui Coco vestì la garçonne del dopoguerra di una lungimirante divisa, e che Karl Lagerfeld, negli anni Ottanta, stilizzò con acume creando il mito.

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Chanel Autunno Inverno 2025 2026; una sinfonia di note, semplicemente, immortali. In attesa del nuovo direttore d’orchestra...

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