Un esercito di lady punk con la cresta, sfila in crinoline sorprendentemente corte e leggere, immerso tra i pannelli di The Flowers We Grew dell’artista Rithika Merchant, tradotta in storie tessili di empowerment e libertà dagli atelier Chananga di Karishma Swali a Mumbai. C’è un che di fanciullesco nell’Haute Couture Primavera Estate 2025 di Dior, e difatti Maria Grazia Chiuri racconta di essersi ispirata alla pittrice, poetessa e scrittrice Dorothea Tanning, moglie di Max Ernst e a lungo ingiustamente offuscata dalla figura del marito, che in uno dei suoi primi lavori degli anni Quaranta – Eine Kleine Nachtmusik – ritrasse una bambola e una ragazzina in abiti laceri in quello che sembrava il corridoio di un hotel, con un grosso girasole ad alludere probabilmente al bambino che è in noi. Non solo. La silhouette è – nonostante la rigidità delle sottogonne una volta gabbia e ora atto di scoperta del corpo – ad A, e cioè un omaggio a quella chic radicale con cui un prodigioso talento nel ‘57 salvò la maison dopo la prematura morte del fondatore.
“In questa collezione sono stata affascinata dalla linea a trapezio di Yves Saint Laurent perché si rifà ai vestiti da bambina, ma la silhouette è molto più costruita – racconta infatti la Chiuri nel video che anticipa la collezione –. Si abbina a degli elementi che non sono parte del mio linguaggio abituale e che ho voluto rielaborare con un approccio completamente nuovo. Credo che l'infanzia vada riguardata perché è una parte molto formativa per la nostra esistenza”. Ed ecco spiegati quei look da Lolita ribelle che incede sfoderando trasparenze ed orli corti, pizzi sangallo e filamentose fioriture che ricordano proprio quelle “lievi e scintillanti” con cui Saint Laurent immaginò gli abiti di quella prima collezione per Dior “rievocanti le ballerine e le opere care a Piero Longhi”.
Mary Jane con mezze calzette retate e ballerine alla schiava dettano il passo di un défilé che abbandona i pepli da vestale e abbraccia crinoline e fascinator da Mohawk, mini torchon e culotte ricamate, marsine avvitate e cappe piumate cesellate in organza. Un Paese delle Meraviglie che è un clash giocoso e impertinente di stili ed epoche, e mai una gorgiera elisabettiana e una crinolina ricamata con rafia intarsiata a filo d’oro, o un panier tutte ruches assicurato in vita da un fiocco, fu meno rococò e costrittivo di così. Tutto è leggero, impalpabile, femminile; vezzoso senza essere sdolcinato, e preziosissimo, come nella lana che forgia pizzi tridimensionali, come nell’organza lavorata a mo’ di bocciolo di rosa, come nelle frange di canottiglie in un degradé che dall’oro arriva all’argento. Un connubio ossimorico tra femminilità e senso di ribellione, che trasfigura la femme-fleur di Christian in bambola decisa che usa quegli stratagemmi una volta considerati anti-femministi, decostruendoli per un nuovo racconto.
Un componimento creativo ricco di rimandi al passato eppure attuale, deciso ma leggero, montaggio di riferimenti e stili che, come racconta Maria Grazia Chiuri; “servono a creare e sviluppare la capacità di giocare: questo è il segreto della moda. Che è coraggiosa e fragile, come i bambini che hanno la forza dell’incoscienza. Ed è per questo che il nonsenso è l’anima della moda”.
