La scorsa stagione, con la complicità dello show ad alto voltaggio di John Galliano per Maison Margiela, è stato tutto un corsetto. Si è visto per le strade, in passerella, sui palchi di popolari kermesse canore, in caroselli digitali che ne ripercorrevano la storia, citandone i più celebri portavoce. L’alfiere Mr. Pearl e naturalmente Jean Paul Gaultier, Vivienne Westwood, Alexander McQueen, Dolce & Gabbana e Thierry Mugler che oggi perdura su una moda da togliere il fiato, ibridandola a suggestioni bucoliche che aggiornino la silhouette. Del resto la griffe celebra quest’anno il cinquantesimo anniversario e Casey Cadwallader indugia sul leggendario e strizzante repertorio di Thierry, combinandolo ad omaggi green che di storie raccontino anche la sua, tra estati e primavere trascorse nella casa di campagna a Fontainebleau. Ne viene fuori un’inedita ri-semantizzazione del feticcio di Agnès Sorel, oggi concepito, ad esempio, in guisa di mini abito spumeggiante di strati e strati di organza turchese finemente maneggiata a riprodurre un fiore, o in foggia di blazer scintillante con panier ad accentuare i fianchi. La linea, in effetti, rimane squisitamente bodycon, ovvero quella anti-femminista modellata dal corsetto, croce e delizia delle donne dal Quattrocento in poi, massima icona di erotismo e al contempo sadica gabbia costrittiva che è tra gli oggetti più affascinanti della moda. La storica Valerie Steele a questo divisivo capo ha dedicato un seminale volume – The Corset: A Cultural History – in cui ben si tratteggiano i mille significati con cui le diverse epoche hanno concepito quella corsetteria che da Mugler, oggi, lavora in combutta con l’anatomia corporea creando giardini quanto mai peccaminosi.
Poiché non è detto che questo antichissimo strumento di tortura non possa essere in fondo anche femminista, sediziosa lingerie che facendo sfoggio di sé si fa vessillo di emancipazione e consapevole sex appeal. Anche da Balmain va in scena la cosiddetta silhouette a clessidra, vale a dire busto striminzito, seni in evidenza e fianchi larghi, secondo il cliché di un corpo femminile assai fecondo ma che qui assume un piglio diverso ancora. Il merito è delle immagini iper-realistiche che si stagliano su quei blazer/abiti che sono suggellato di minuzia manuale d’atelier, nonché delle spalle che Olivier Rousteing acumina ed estremizza verso l’alto, insistendo su quella forma strutturale che è tra i leitmotiv della sua estetica. Le giga-spalline – reminiscenza anni Ottanta ma, in questo caso, anche un po’ del Balmain by Cristophe Decarnin che nei Duemila già abbozzava la silhouette poi estremizzata dal suo assistente e attuale direttore creativo – sono un vezzo ciclicamente reinterpretato dalla moda. Un tic che è simbolo di empowerment ma che, nella versione affilata che ne fa la griffe francese, serve più a modulare una silhouette che assieme ai fianchi angolari e la vita ridicola è un trionfo di femminilità.
Insospettabilmente seducente, è poi a Parigi anche Schiaparelli dove Daniel Roseberry etichetta la collezione Future Vintage, strizzando l’occhio alle figlie delle facoltose clienti della maison. L’obiettivo del designer texano è insomma mostrare che oltre la funambolica couture da tappeto rosso e mega-star ci sia di più, e lo fa rivisitando gli archetipi della moda maschile trasfigurati come? In corsetto. Emblematici i primi tre look che sfilano in pedana: una camicia bianca, una polo e una canotta che strizza il busto di Kendall Jenner all’inverosimile, disegnando una seducente S in accordo alla vita sinuosa del jeans che contorna i fianchi.
Una nuova linea, tra il plastico e il delicato, tra la couture e il prêt-à-porter, arriva anche da Victoria Beckham, ormai parigina a tutti gli effetti, nonché designer sempre più sicura di una grammatica che – con buona pace dei detrattori che la vedranno sempre Posh – lei rimaneggia, sorprendendo ad ogni collezione. Per la Primavera Estate 2025, anche la stilista inglese cede al richiamo del bustino eppure la sua è un’interpretazione leggiadra che, avvalendosi di drappeggi resinati a conferire allo chiffon un aspetto tra lo scolpito e il bagnato, accende un romanticismo decisamente meno costrittivo. “È tutto incentrato sulla silhouette e sulla mia ossessione per la silhouette – ha infatti raccontato la Beckham in un’anteprima a Vogue Business –. Ogni stagione guardiamo ai codici del brand, cercando di rispettarli e al contempo esplorando nuove modalità per esprimerli”. E il risultato è l'aggiornamento di un suo pièce de résistance come l’abito sottoveste che, tradotto con grande femminilità e leggiadria, fa apparire lontanissimi i tempi in cui la stessa Vic si faceva inguainare dal maître corsetier per eccellenza per le nozze con David.
Jonathan Anderson è un altro che, da Loewe, immagina una nuova figura. Il suo è un atto di sottrazione che mira a far emergere solo e soltanto la silhouette che, citando la stessa maison, è “piegata, rimbalzante, fluente in curve, lunga o rozzamente tagliata, che si muove lateralmente e si allontana dal corpo, come se cadesse dentro e fuori da un sogno. La sartoria si riduce a un flusso sinuoso e i drappeggi si muovono in cerchio”. Il cerchio in questione sarà anche una crinolina di ottocentesca memoria eppure mai esito fu più lieve, e i tessuti diafani che rivestono la gabbia basculante sono un gioco vedo-non-vedo di un quotidiano desiderabilissimo. E giocoso; com’è nella cifra di Anderson, come sono quegli hula hoop che tengono in forma gonne e abitini di madreperla con un fare così leggero che Madame Millet – madre della cage crinoline – inorridirebbe.
Infine, la quota ludica alle (neo)silhouette della Paris Fashion Week la porta Acne Studios che sovverte il quotidiano tramutandolo in uno straordinario che ha del fanciullesco. Il dress code comprende: stampe floreali rétro da tappezzeria anni Sessanta, mohair bollito dalla sensazione pre-loved, tendaggi check a farsi gonne dal maxi-bow, centrini come loliteschi set crochet ma, soprattutto, silhouette gommose a cesellare suit in pelle o denim distorti dalla schiuma di lattice. L’universo è domestico, allegro e un po’ inquietante, a definire un’anatomia che va oltre le classiche forme.
D’altronde, come sosteneva Elsa Schiaparelli, “per costruire una nuova eleganza è necessario infrangere le regole fissate da altri prima di noi”. E chissà che il foam jeans che fa le gambe cicciotte non ci tolga dal cruccio del mezzo chilo in più. Per la dieta, c’è sempre il corsetto…