Chiamarla "legge" sarebbe improprio. Potremmo dire, come ha fatto lo stesso Masafumi Koki, sindaco della città giapponese di Toyoake, "linee guida", ma forse "buone intenzioni" o "pie illusioni" sarebbero definizioni più calzanti.
I fatti: succede che nella città sopra citata, un piccolo centro di 70 mila anime situato nella prefettura di Aichi, il primo cittadino, preoccupato per la crescente dipendenza da dispositivi digitali (che ovunque non ci siano cose più serie a cui pensare, com'è banalmente la mera sopravvivenza, riguarda il Giappone come l'Italia, gli Usa tanto quanto la vecchia Europa, nda), abbia deciso di provare a far passare una normativa che avrebbe l'ambizione di limitare a due ore al giorno l'uso dello smartphone.
- Entrando più nel merito, il testo legislativo articola disposizioni differenziate in base all’età degli utilizzatori. Per gli studenti delle scuole elementari e i bambini più piccoli, la norma raccomanda di evitare completamente l’uso degli smartphone dopo le ore 21 (e per quanto mi riguarda siamo già di manica molto larga), mentre per il resto della popolazione il limite è fissato alle ore 22. Il sindaco Masafumi Koki ha chiarito che il calcolo delle due ore giornaliere esclude i momenti dedicati allo studio o al lavoro, concentrandosi esclusivamente sui momenti di tempo libero. "L’approccio adottato dall’amministrazione - ha spiegato - mira a distinguere chiaramente tra uso produttivo e ricreativo della tecnologia".
- Lo studio francese che dice di vietare gli smartphone fino ai 13 anni
- In Svezia, Finlandia e Danimarca è vietato usare gli smartphone nelle scuole
- Perché interagiamo più con lo smartphone che con le persone che amiamo?
Il nodo educativo: se anche studiare dipende dal digitale
Ora, questo ragionamento presuppone, però, che anche per gli studenti anche più piccoli, ovvero quelli delle elementari, sia indispensabile studiare e fare i compiti usando un device, e anche in modo massiccio, visto il conteggio delle due ore rimanenti di uso puramente "svagante" del telefono. Va da sé che la conclusione che se ne trae è che nella scuola giapponese ci sia già un germoglio di dipendenza da tecnologie, altrimenti questa distinzione non sarebbe necessaria. E qui la questione è già problematica.
Cosa succede nel resto del mondo (e in Scandinavia in particolare)
In Scandinavia, dove forse più che altrove la politica si sta interrogando molto sul rapporto tra bambini, pre adolescenti e adolescenti e gli smartphone, ci si sta chiedendo se occorra anche un intervento concreto che parta proprio dalla scuola, per cercare di frenare quella che è una tendenza all'uso e abuso sempre più precoce degli strumenti tecnologici collegati a Internet.
Lo scorso anno, su questo, le autorità sanitarie svedesi avevano condiviso il pensiero secondo il quale i bambini di età inferiore ai due anni non dovrebbero essere esposti ad alcun tipo di schermo e gli adolescenti non dovrebbero trascorrere più di tre ore al giorno (in totale, compiti compresi) davanti a smartphone, tablet, laptop.
Il parlamento finlandese aveva invece approvato in via definitiva una legge che vieta quasi del tutto l’uso degli smartphone e di altri dispositivi elettronici agli studenti delle scuole primarie e secondarie del paese. La legge finlandese prevede che gli smartphone siano vietati durante le lezioni: gli studenti potranno usarli solo con il permesso degli insegnanti, e solo per motivi di salute o per lo studio.
In Danimarca, dove si vogliono vietare a scuola a tutti gli studenti tra i 7 e i 17 anni tutti i tipi di device, una commissione ha anche detto che i bambini sotto i 13 anni non dovrebbero avere il proprio smartphone o tablet.
Londra, periferie e smartphone-free movement: il caso inglese
Ecco che quindi l'iniziativa di Toyoake si ridimensiona un po'. Anche in UK, per esempio, un anno fa - e anche a seguito di un libro piuttosto influente "The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness" di Jonathan Haid - molti presidi e insegnanti, specialmente di scuole primarie, hanno iniziato a chiedere ai genitori di evitare di dare ai figli lo smartphone fino a quando non compiono 14 anni. La scuola di Cunningham Hill a Saint Albans, una città di 75mila abitanti a meno di 40 chilometri dal centro di Londra, è diventata un po' la scuola simbolo di questo nuovo intervento, ma ce ne sono molte altre: a Woodbridge, nel Suffolk per esempio, è stato lanciato il progetto Smartphone Free Childhood che si batte per un divieto sui social media per i minori di 16 anni e un divieto di smartphone per i bambini sotto i 14 anni. A questo progetto hanno aderito molte scuole nelle estreme periferie, perché molti dati confermano che il tempo medio sullo schermo e l'uso dei social media di un bambino aumentano nelle famiglie monoparentali e a basso reddito. Dopo un anno di partecipazione dei genitori all'iniziativa delle scuole primarie, il numero degli alunni del sesto anno che possiede un cellulare è passato dal 75% al 12% mentre nel quinto anno si è passati dal 30% al 4,8%.
Perché in Giappone anche due ore sono una rivoluzione
Ma per tornate a Toyoake, c'è da dire che in Giappone esperimenti di questo tipo erano stati finora intentati. Il primo cittadino Koki, dunque, sta facendo probabilmente il massimo, in una società che è da sempre altamente tecnologizzata e portata ad abbracciare e fare propria l'innovazione. Per cui, calato in quel contesto, l'esperimento delle "due ore", come si suol dire, è già qualcosa. Dal canto Koki ha spiegato che questo disegno di legge "mira a promuovere misure per evitare ai residenti gli effetti negativi causati dall’uso eccessivo degli smartphone, come i disturbi del sonno e ad altri problemi di salute fisica e mentale.”.
Un gesto simbolico (che potrebbe seminare un dubbio)
Qualora l’assemblea cittadina approvi definitivamente la proposta, le nuove disposizioni entreranno in vigore il 1° ottobre, e saranno come un interessante esperimento sociale per le politiche digitali giapponesi. Senza multe o divieti severi, Toyoake prova a mandare ai suoi cittadini un gentile invito collettivo a staccare la spina. Un gesto più che altro simbolico, che potrebbe, chissà, insinuare quantomeno in qualcuno il dubbio che invece di prendere lo smartphone e abbeverarsi delle sue funzioni, potrebbe addirittura fare altro.