Si scrive Future, ma si legge Presenti. Perché sono le donne di oggi le vere agenti del cambiamento. Sono loro che, aderendo al #MeToo, hanno avuto il coraggio di dare voce e corpo al racconto di violenze sessuali, abusi e sopraffazioni subiti da parte di attori, registi, professori universitari, ma anche mariti, padri e compagni, animando così una coscienza collettiva che pare essersi risvegliata da secoli di torpore e che oggi chiede che quanto accaduto a ciascuna di loro non si ripeta più per nessun'altra. Una ribellione che trova un'interpretazione psicoanalitica nel termine Sorellanza. Una definizione coniata dagli psicoanalisti lacaniani Silvia Lippi e Patrice Maniglier, nel loro ultimo libro dal titolo appunto Sorellanze. Per una psicoanalisi femminista, che sarà al centro di uno dei panel dell'ottava edizione de L'Eredità delle donne, l'annuale festival diretto da Serena Dandini in programma a Firenze dal 22 al 24 novembre con quasi cento ospiti fra scienziate, imprenditrici, studiose, attrici e scrittrici per parlare di femminismo e leadership, discriminazione e intelligenza artificiale, pace e guerra, medicina e sessualità.
"La sorellanza è un legame sociale, cioè una maniera con cui le persone, al di là del genere, si legano tra di loro a partire da un vissuto traumatico e dai suoi effetti in un mondo eteropatriarcale", spiega la dottoressa Lippi, che nella sua esperienza clinica ultraventennale ha individuato una nuova forma di femminismo capace di travalicare la singolarità di ciascuno e di esprimersi in un movimento nuovo, più disordinato forse di quello degli anni '70, ma non meno liberatorio da opporre alle logiche di potere di stampo machista. "La psicoanalisi è ancora molto maschilista perché finora la donna è stata definita in funzione dell'uomo. Basti pensare alla questione dell'invidia del pene e al concetto di castrazione di derivazione freudiana. Quello che ipotizziamo noi nel libro è un cambio di prospettiva che porta la donna al centro in virtù di una sorellanza che non è solo solidarietà femminile, ma anche strumento di lotta contro il patriarcato".
Com'è cambiata nel tempo la narrazione di questi traumi sessuali da parte delle pazienti?
La psicoanalisi è da sempre il luogo dove le persone parlano del trauma, ma cambia il modo in cui ne parlano e, per certi versi, a chi si rivolgono perché la loro parola non è più solo ascoltata dall'analista, ma dalla società. Freud è stato il primo ad ascoltare le donne che avevano avuto traumi legati ad abusi sessuali — Dora è il primo caso nonché il più conosciuto —, riconoscendo l'importanza delle loro parole. Ma nei miei incontri clinici con donne che avevano subito violenze o abusi sessuali mi sono resa conto che per loro era importante la rete dei social dove sentivano che non erano sole nella loro posizione di persone sottomesse o abusate. Da lì ho cominciato a pensare che potesse esistere un legame tra la cura psicoanalitica, basata sul singolare, e il lavoro collettivo di denuncia delle donne. In Francia il #Metoo è un movimento fondamentale: da Depardieu a Polanski sono tantissimi i casi di denunce e adesso prima che un professore proponga di andare a prendere qualcosa da bere ad una studentessa ci pensa e questo dimostra già un primo cambiamento sociale.
E com'è cambiato il rapporto delle donne con il senso di colpa, un sentimento che spesso accompagna le vittime e che talvolta rappresenta un ostacolo alla denuncia?
Prima la persona si dichiarava subito colpevole e si chiedeva: "Cosa ho fatto per meritare questo?". Oggi dice: "Come faccio a far sì che questa persona non faccia la stessa cosa a un'altra?". C'è una rete che è pronta ad ascoltare le donne e a credere loro. Lacan parlava di "inconscio politico" e questa ne è la prova. Non è il soggetto, il suo Io da solo che risolve il problema, c'è subito un rapporto con l'altro. Questo non significa che la persona non possa elaborare la sua colpa, il suo desiderio, la sua posizione di passività all'interno di un trauma subito. Ma la questione non ricade subito sul sentimento di colpa, con pensieri del tipo "io sono una poco di buono, avrei dovuto comportarmi diversamente". Non emerge subito l'auto-colpevolizzazione.
Una confessione più aperta?
Più che pensare ad una confessione più larga, io direi che c'è una maniera diversa di parlare del trauma e di trasformare questo vissuto soggettivo in un cambiamento collettivo. E questo è fondamentale: non possiamo più separare la psicoanalisi dall'atto politico. Per troppo tempo è stata vista come una pratica individuale, narcisistica, fuori dal mondo. E invece siamo costantemente presi in questo legame sociale, che grazie alla psicoanalisi può trasformarsi.
Il fatto che diverse personalità dello spettacolo abbiano avuto il coraggio di parlare dei propri traumi ha aiutato il singolo nel proprio rapporto con la violenza subita?
A fare la differenza è stato soprattutto il numero. Nel caso Weinstein, le persone che lo accusavano inizialmente erano domestiche e collaboratrici che nessuno conosceva. Le donne hanno accettato di testimoniare perché ce ne erano altre e non si sono sentite sole nell'abuso. Nessuno ci guadagna a essere una vittima, è una posizione che non piace a nessuno, tanto più che in questa società è sempre la donna a essere accusata. Solo in un secondo momento sono arrivate le denunce di persone famose. E la loro parola ha preso un'altra forza, ma se fossero state sole nessuno le avrebbe ascoltate.
Quello che teorizzate, dunque, è un femminismo unito dal trauma?
Esatto. È il trauma che fa la rivoluzione, la prima sovversione soggettiva del soggetto è il soggetto che può guardare il trauma e farlo emergere senza subirlo più. Queste donne guardano il trauma e parlano, dicono, denunciano, non sono più isolate, non si stanno più nascondendo per non sembrare deboli o poco serie. La questione narcisistica è messa da parte, c'è solo l'idea di cambiare la società e di sostenere le altre donne, che si legano tra loro a partire da una forma di debolezza che poi diventa una forza.
Ci sono però molte donne contrarie al #MeToo. Perché?
Penso che sia una forma di paura, di negazione, che poi è una forma di protezione dell'Io. Non tutti sono pronti ad aprirsi al trauma, si pensa sempre che sia più facile rimuoverlo. Ma questa sorellanza ormai è in atto e con il movimento "Non una di meno" anche in Italia diventerà sempre più importante. Non si tratta di generalizzare le proprie esperienze, né di chiudersi al sessuale, ma di capire il funzionamento della società dove il sessuale diventa uno strumento di potere e dove le donne sono ancora in una posizione minoritaria tanto nei posti di lavoro quanto nei panel. Fortunatamente questo non succede nel nostro festival L'Eredità delle donne!
Marie Curie, a cui si ispira la nuova edizione de L'Eredità delle donne, affermava che nella vita nulla va temuto, bensì compreso. Perché gli uomini sono spaventati dal femminismo?
Le donne del #MeToo sono state tacciate di isteria collettiva da Polanski e da altri. È stato detto che è un movimento repressivo e reazionario, ma le donne che colorano le piazze di Parigi non hanno nulla di tutto ciò. Vogliamo rassicurare gli uomini: questo movimento non è una repressione sessuale, ma una lotta collettiva gioiosa, un'invenzione basata sul rapporto più libero dal potere del sesso o, per meglio dire, dal sesso come strumento di potere. Uomini come Trump da un lato dicono che le donne non devono lavorare, dall'altro che le vogliono proteggere. Ma la sottomissione e la protezione sono due facce della stessa medaglia dell'eteropatriarcato. Noi donne non vogliamo essere protette né vogliamo essere come gli uomini, vogliamo qualcosa di diverso. E questo un certo tipo di uomini non lo capisce e per questo ha paura. In realtà da questo cambiamento tutti avrebbero da guadagnarci.
Cosa intende?
Non si tratta di maschi contro femmine, di donne sulle barricate, organizzate come nel femminismo anni '70. Ma di un femminismo "disordinato", che non si basa su identità precise e definite dall'inizio. La sorellanza non implica il passaggio da tutti quegli strumenti regolarizzanti e normativi di un tempo. È invece uno strumento per pensare le donne indipendentemente dagli uomini e al di fuori dalle mura domestiche, che poi erano gli spazi delle prime pazienti di Freud in epoca vittoriana. Da allora la società è molto cambiata e per questo si devono evolvere i nostri strumenti interpretativi. Non possiamo pensare che il solo legame sociale sia dominato dalla questione fallica, come pensa Lacan. Oggi ci stiamo aprendo sempre di più alle altre società, questa centralità occidentale comincia a dare problemi e la sorellanza è una delle alternative, ma è un legame sociale traumatico perché non diniega, non rimuove il trauma, ma lo utilizza per pensare la lotta comune. Il #Metoo integra tutte le differenze: le persone transgender, gli omosessuali, ogni forma di differenza è inclusa, non ci sono quei codici che il femminismo ha avanzato finora. È un legame sociale basato sul corpo, un corpo che non ne può più e che dà la parola. In un'idea quasi marxista, non basta la presa di coscienza, in questa necessità impellente che è il sintomo, è il corpo che fa la rivoluzione.
La sorellanza, dunque, è un legame ampio che può abbracciare anche gli uomini, se solo lo volessero? Una sorta di femminismo inconscio, di cui gli uomini devono imparare a prendere coscienza?
Assolutamente. La sorellanza va al di là del fatto di essere donna, questa società eteropatriarcale è problematica per tutti. Nella mia esperienza clinica ho conosciuto molti uomini intrappolati in questo Super Io predatorio, che li obbliga ad assumere un determinato ruolo di superiorità sulle donne in quanto esseri minori, ma anche rispetto alle minoranze di razza e genere. È una maniera di prevaricare l'altro che vediamo esercitare a tanti livelli. Se gli uomini accettassero di associarsi alle donne, se fossero pronti a rifare questo nuovo mondo, senza guerre e logiche di potere, sarebbero pronti a far parte di questo movimento.
Quali e quanto grandi sarebbero i vantaggi se gli uomini si comportassero come le donne?
Secondo me ci sarebbe più invenzione a livello di relazione sessuale e d'amore. Si uscirebbe da queste versioni stereotipate della conquista e della predazione. Questo avviene già tra i giovani che inventano nuove relazioni di coppia, più aperte e meno concentrate sul desiderio di potere. A livello sociale questo si tradurrebbe in un mondo con meno guerre, dove ci sarebbe il rispetto dell'altro e della terra. La società dominata dagli uomini ha creato un mondo che fra poco forse scomparirà, come dimostra la crisi ecologica. Con questo altro legame sociale, la predazione che finora ha dominato i rapporti eteropatriarcali perderebbe centralità. Sia verso il povero che verso il debole, sia nei confronti della donna che del Pianeta.