Ci sono notizie che sembrano piccole, poco rilevanti, se lette sotto la lente dell'occidentalismo, ma che, invece, ad altre latitudini sperano di diventare un precedente importante. Eppure non viviamo in un momento storico nel quale anche in Occidente possiamo permetterci di dare per scontati molti diritti civili: basta guardare a quel che continua a succedere in alcuni Stati repubblicani degli Usa dove il diritto all'aborto è stritolato da leggi sempre più restrittive. Ma anche in Italia siamo consci di essere tra i paesi dell'Unione Europea più avversi alla concessione di pari diritti per le coppie omosessuali, un tema assente dall'agenda di governo, al punto che persino la Grecia cristiano-ortodossa e governata dalla destra ci ha sorpassati senza clamori, legalizzando matrimoni e adozioni per le famiglie queer. Siamo, tuttavia, anche consci che altrove va molto peggio. In Cina, da dove arriva la notizia a cui accennavamo sopra, è in corso un accanimento verso la comunità LGBTQ+, che negli ultimi due anni sta mostrando forse sempre più aggressive.
Diritti LGBT in Cina, a che punto siamo
Il governo di Xi Jinping ha, infatti, espresso una crescente ostilità verso attivisti e piattaforme che sostengono le persone LGBTQI+, e sembra anche intenzionato a promuovere, se non imporre, ruoli e valori di genere iper tradizionali. Nel 2020 il Shanghai Pride, l'unica celebrazione annuale della comunità LGBT+ in Cina, è stato cancellato, e nell'estate del 2021 la piattaforma WeChat ha chiuso gli account delle associazioni LGBTQ in alcune delle principali università della nazione, tra cui Tsinghua e Pechino. Sempre nel 2021, il fondatore di un altro gruppo, LGBT Rights Advocacy China, è stato arrestato e rilasciato solo a condizione che chiudesse l’organizzazione, che infatti ha smesso di esistere poco dopo. E ancora: il governo ha fatto pressioni sui media statali perché non mostrassero uomini con un'estetica troppo femminile.
Ma è stato nel 2023 che tutto è peggiorato. A maggio dello scorso anno, un noto gruppo di difesa dei diritti LGBTQ+ di Pechino ha annunciato la sua chiusura a causa di quelle che sono state definite circostanze “inevitabili”, mentre a febbraio, dello stesso anno due studenti universitari avevano intentato una causa contro il ministero dell’Istruzione dopo essere stati puniti dalle forze dell'ordine per aver distribuito bandiere arcobaleno nel campus. In Cina, sebbene l’omosessualità sia stata depenalizzata nel 1997 e rimossa dall’elenco dei disturbi psichiatrici nel 2001, le coppie dello stesso sesso non possono sposarsi o adottare bambini. Molte persone omosessuali sono ancora costrette a terapie e pratiche di conversione (che comunque continuano ad essere eseguite anche in Europa, spesso legalmente e di solito con un pretesto medico o religioso), e sono stati segnalati casi di giovani trans inviati in campi di addestramento per la “rieducazione”. Ecco che allora in un contesto del genere il fatto che un tribunale abbia riconosciuto ad una donna gay di poter fare visita ai figli, avuti dalla ex moglie, sposata nel 2016 negli Stati Uniti, segna una sentenza storica per il paese.
Che cosa è successo in Cina e perché si parla di sentenza storica
Una breve cronologia dei fatti. Didi, la protagonista della vicenda che ha scelto di essere raccontata attraverso un nome di fantasia, poco dopo il matrimonio si sono sottoposte a un trattamento di fecondazione in vitro, con embrioni ricavati dagli ovuli della moglie e dal seme di un donatore, impiantati in entrambe le donne. Nel 2017, Didi ha dato alla luce una bambina e sua moglie un bambino. Ma tornate in Cina, la relazione si è interrotta e nel 2019 la coppia si è separata (sono ancora legalmente sposate negli Stati Uniti). La moglie di Didi ha portato i due bambini a vivere con lei nella capitale e ha interrotto i contatti con Didi.Nel marzo 2020, Didi ha intentato causa per la custodia dei bambini ancora molto piccoli, in quella che in Cina è stata la prima disputa di questo tipo tra persone dello stesso sesso. Quattro anni dopo, ha ottenuto una vittoria. Un tribunale di Pechino ha infatti stabilito che alla donna dovrebbero essere consentite visite mensili con la bambina che ha dato alla luce nel 2017. Così il mese scorso, Didi, che ha 42 anni e vive a Shanghai, si è recata a Pechino per far visita alla figlia di sette anni: era la prima volta che lei e sua figlia si vedevano in quattro anni. Tuttavia, a Didi non è stato concesso di contattare l'altro suo figlio, dato alla luce dalla ex moglie, il che evidenzia le enormi difficoltà che i tribunali cinesi incontrano nel gestire gli accordi familiari LGBTQ+. La lunga e insolita battaglia legale di Didi per ottenere l'affidamento condiviso dei suoi figli fa parte di una causa che segna la prima volta in cui un tribunale in Cina è stato costretto a deliberare sulla gestione dei figli da parte di genitori dello stesso sesso.
La legge cinese ha un "approccio di evitamento" alle relazioni gay, ha detto Gao Mingyue, l'avvocato di Didi. "Non definisce chiaramente i diritti delle coppie dello stesso sesso". Il codice civile e la legge cinese sul matrimonio presuppongono che un bambino nasca in una famiglia eterosessuale e sposata. Sebbene esistano disposizioni per l'adozione e i genitori acquisiti, non esiste alcun meccanismo per gestire l'approccio della "maternità condivisa" che le coppie lesbiche a volte usano per avere figli, in cui, è un po' complesso ma seguitemi, un embrione creato con l'ovulo di una donna viene impiantato nell'utero dell'altra donna, che porta in grembo e partorisce il bambino. I certificati di nascita presumono che la donna che partorisce un bambino sia la sua madre biologica. Poiché Didi ha dato alla luce sua figlia, nonostante non fosse geneticamente imparentata con lei, aveva delle ragioni solide per sostenere di essere una madre legittima. Ma ha poche possibilità di essere riconosciuta legalmente come tutrice del fratello della ragazza. "Amo davvero entrambi i miei figli, voglio prendermi cura di loro", ha detto al Guardian. Secondo Gao, da quando la Cina ha abbandonato la politica del figlio unico e incoraggia le persone ad avere più figli anziché meno, i tribunali sono sempre più propensi a proteggere i diritti dei bambini nati fuori dal matrimonio, compresi quelli delle famiglie LGBTQ+ e dei genitori single.
Un sondaggio pubblicato a luglio dal Williams Institute presso l'UCLA ha rilevato che dei quasi 3.000 intervistati, l'85% aveva atteggiamenti favorevoli nei confronti dell'idea di genitori dello stesso sesso. Quasi il 90% era pro matrimonio tra persone dello stesso sesso. Con la società cinese sempre più tollerante nei confronti delle persone LGBTQ+, "la legge dovrebbe adeguarsi", ha affermato l'attivista. Per Didi, il fatto di aver ottenuto una piccola vittoria per quanto riguarda la figlia, ma il nulla di fatto per quanto riguarda il figlio, rende per lei questo momento agrodolce. Ma il suo avvocato, Gao, ha detto che è un "grande passo avanti". Il caso è stato ampiamente discusso sui social media cinesi e negli ambienti accademici e tutti sono concordi nel dire che costituisce un precedente molto prezioso. Didi spera che, man mano che la Cina diventi più permissiva e progressista a livello sociale, anche il sistema legale inizierà a riconoscere le famiglie omosessuali, anche se attraverso passaggi graduali. "È molto semplice, in realtà", ha detto al Guardian, "le altre famiglie sono composte da un padre e una madre. Noi invece siamo due madri, ma l'amore è lo stesso".