A gennaio 2022 scrivevamo di come, a due anni dall'inizio della pandemia, fosse sempre più evidente il fatto che la pandemia avesse marcato più profondamente la grave e insidiosa disuguaglianza sociale tra i giovani. Un anno e mezzo fa a dircelo erano i dati messi a disposizione dal rapporto "Education at a glance" dell'Ocse, che evidenziavano come le chiusure prolungate delle scuole nei primi 18 mesi di pandemia avessero accresciuto non solo il divario all'interno del nostro stesso paese, ma anche quello tra l'Italia e il resto d'Europa. Si parlava allora del numero di Neet (Neither in Employment nor in Education or Training) che in Italia costituivano il 29,4% di giovani, contro una media europea del 17,6%. Se il dato nazionale era, e come vedremo è ancora, decisamente da maglia nera, quello che riguarda la situazione delle giovani donne è allarmante. Tra loro il fenomeno riguarda il 35% della popolazione, in pratica più di una su 1 su 3, contro il 24% degli uomini. L'esatto opposto, per esempio, di quanto accade nei Paesi Bassi, dove non solo si registra la percentuale più bassa del Continente per numero di Neet (solo l'8,2 per cento), ma la forbice fra uomini e donne è relativamente ridotta (7% contro il 9,5%).

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Foto di Sasha Cures su Unsplash

Oggi dall'Eurostat, l'istituto di statistica europea, arrivano dati aggiornati al 2021 che confermano tutto, senza sorprese in positivo: la tendenza rilevata, infatti, dice che un giovane italiano su 4 tra i 15 e i 29 anni (poco meno del 25%) è attualmente a rischio povertà. All'interno dell'Unione Europea, invece, la percentuale si riduce al 20% circa. Il nostro, dunque, è un tasso allarmante, che fa scivolare l'Italia al quinto posto tra i peggiori paesi europei. Eppure neanche Danimarca, Grecia, Spagna e Romania riescono a fare meglio. Il divario generazionale non è mai stato così ampio: secondo la Fondazione Bruno Visentini, che ha creato un indice per misurarlo, nel 2020 si è registrato un nuovo picco, confermando che a pagare il prezzo più alto delle crisi sistemiche del Paese sono i giovani. Per rendere meglio l'idea: se nel 2006 il divario era a 100, ora è salito di 142 punti.

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Foto di Sasha Cures su Unsplash

Una delle variabili che è alla base di questa condizione è senza subbio la finora mancata parità di genere. E non si tratta di una pura congettura o di un costrutto ideologico, ma di dati numerici: le donne in Italia guadagnano circa il 20% in meno dei loro colleghi uomini, l’equivalente di 73 giorni di calendario, con la risultanza che dal 18 di ottobre di ogni anno lavoreremo gratuitamente fino al 31 di dicembre. Oggi in nel nostro Paese lavora meno di una donna su due, con un’alta percentuale di contratti part time (49,8%), un’elevata differenza salariale (secondo le stime Eurostat, il 12%, secondo altre stime anche il doppio) e limitate possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donna, peggio di noi in Europa solo Cipro).

Anche l’accesso alla formazione scientifica e tecnologica, nonostante tutte le campagne fatte, per le donne si arresta al 16% contro il 34% degli uomini. Le conseguenze economiche della pandemia sulla disparità fra i sessi, soprattutto in ambito economico, sono ben riassunte dal neologismo she-cession, che sintetizza in modo esplicito e crudo la crisi vissuta sulla pelle e nei portafogli delle donne. Tutto questo si collega ovviamente ai dati che abbiamo citato sulla povertà giovanile, perché la prospettiva rimane quella, salvo miglioramenti significativi, da nord a sud, sotto questo governo, in carica ormai da diversi mesi.

Insieme al divario di genere, c'è, poi, il gravame eccessivo del sistema pensionistico sui conti dello Stato, ma ci sono anche, come detto, le condizioni di reddito, ricchezza e welfare, credito e risparmio (sempre meno) a disposizione dei giovani. A questo va aggiunto un ascensore sociale praticamente rotto. Da un'indagine condotta da Caritas e inserita nell'ultimo Rapporto sulla povertà si evidenzia come dei 5,6 milioni di poveri assoluti nel 2021 in Italia, 6 su 10 abbiano ereditato questa condizione dai loro genitori. La povertà in Italia, stando ai dati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ), si tramanda per 5 generazioni. Un percorso a ostacoli spesso insormontabili, pavimenti appiccicosi che impediscono ai più fragili quella mobilità alla base di una società giusta e democratica. Possiamo visualizzare il divario come un muro, che rappresenta l'insieme di tutti gli ostacoli che un giovane deve affrontare per raggiungere le principali tappe che lo conducono a una vita autonoma e di realizzazione personale e professionale: il muro nel 2006 era alto un metro e poteva essere saltato quasi da chiunque, poi siamo passati nel 2011 a un'altezza di un metro e 30, per arrivare poi al 2020 a un metro e 42.

Il quadro preoccupante, tuttavia, che parla di povertà giovanile riguarda non solo noi, ma tutta l'Unione Europea: nel 2021 la difficoltà a raggiungere una minima stabilità economica è cresciuta molto di più tra gli under 30 che per la popolazione totale, con una differenza generale di 3,3 punti percentuali (20,1% contro 16,8%). Ciò è avvenuto in ben 19 paesi europei, con un divario maggiore, a sorpresa, in Danimarca, che ha il 12,3 % della popolazione totale a rischio di povertà rispetto al 25,6 % dei giovani, e, di nuovo a sorpresa, in Svezia (15,7% rispetto al 24,6%). Mentre solo i giovani in Lettonia, Malta, Estonia e Croazia hanno condizioni economiche migliori rispetto alla popolazione nel suo complesso. Ma non è finita qui. Circa il 6% degli under 29 in Europa non riesce neppure a pagare le bollette, a mangiare proteine almeno una volta a settimana e ad avere un mezzo con cui spostarsi. Il Vecchio Continente, dunque, a quell'aggettivo che lo connota da sempre pare voler dare un'accezione particolarmente negativa, con la sua popolazione giovane messa in particolare difficoltà.

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