In Italia i diritti civili non sono una priorità, anzi, non sono nemmeno nell'agenda politica. E non stiamo parlando del Ddl Zan, che è stato definitivamente affossato dai senatori italiani, che hanno messo uno stop definitivo alla legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo, perché i dieci articoli che lo compongono, parlano di codice penale, non di diritti. I diritti sono un'altra cose, riguardano il matrimonio gay, che è stato riconosciuto costituzionalmente anche in Tusinia, primo paese arabo a compiere questo passa, la possibilità di adozione per le coppie omosessuali. Tutte cose, insomma, che non sono nemmeno all'orizzonte.

C'è, però, e come vedremo viene pure applicato, il diritto a non essere discriminati per il proprio orientamento sessuale, che, se vogliamo, è davvero qualcosa di basico in quella che è definita come democrazia, ma che, corre l'anno 2021, è tutto tranne che scontato. Ce lo ricorda la vicenda di questi giorni, che riguarda una scuola cattolica paritaria, l'Istituto Sacro Cuore di Trento, condannata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione perché nel 2014 non aveva rinnovato il contratto a un’insegnante proprio a causa di sospetti sul suo orientamento sessuale. La scuola era già stata condannata sia in primo grado sia in appello: ora è arrivato il parere definitivo della Cassazione che conferma ancora una volta che l’istituto ha commesso una discriminazione.

Una decisione, questa della Cassazione, importantissima, come ha spiegato a Il Post l’avvocato Alexander Schuster, che assiste l’insegnante, perché avendo "rigettato completamente il ricorso dell’istituto, ha ribadito ciò che aveva già stabilito la Corte d’Appello e cioè che l’essere una scuola religiosa che vuole tenere fede alla sua missione non giustifica nessuna discriminazione. È una sentenza che fa giurisprudenza per il diritto italiano che, su questi temi, era fermo agli anni Novanta". La prima condanna era arrivata dal giudice del lavoro di Rovereto, in Trentino Alto Adige.

Il Tribunale aveva affermato che "la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola" e che la docente "ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell'onore". Era stata, inoltre, verificata una "discriminazione collettiva" perché la condotta della scuola "ha colpito non solo la ricorrente, ma ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’Istituto". Su quella scia si è mossa la Corte d’Appello prima, e la Cassazione poi, confermando i risarcimenti anche all’associazione sindacale e a quella per i diritti civili.

Ripercorrendo i fatti, si scopre che l’insegnante, che lavorava al Sacro Cuore da alcuni anni, fu convocata dalla madre superiora dell’istituto, ed in quel colloquio sta il cuore della questione, dal momento che prima di allora, ma la docente aveva avuto un reale sentore che la si volesse allontanare. Le voci sì, quelle le aveva intercettate, ma che ancora oggi non sia così scontato poter fare serenamente coming out, lo sappiamo; esistono contesti, infatti, più ostili, come quello degli sport più marcatamente machisti, o come quelli religiosi in senso più conservatore.

La professoressa convocata, dunque, raccontò ciò che accadde nell'ufficio della superiora al giornale Trentino: "Già all’ingresso - dichiarò - sono stata bloccata dalla portineria, dove mi hanno spiegato di aver avuto ordine di farmi accomodare non nella segreteria, come sarebbe stato normale, ma nella sala ricevimento. Non è un dettaglio, perché nella sala scelta nessuno poteva sentire alcunché del colloquio. A posteriori, ho capito che con ogni probabilità si volevano evitare testimoni dell’incontro". Durante il colloquio la religiosa rivolse molti apprezzamenti all’insegnante. Ma poi aggiunse che "il “problema”, come lo ha chiamato lei, erano le voci che giravano sul mio conto. In breve ho capito che il “problema” era legato al mio orientamento sessuale, e che mi veniva richiesto di smentire queste voci. In cambio, la scuola avrebbe “chiuso un occhio” sulla mia situazione".

Il contratto della professoressa era già scaduto al momento del colloquio ma, come disse in seguito l’avvocato Schuster, all’insegnante fu fatto capire che se avesse smentito le voci sulla sua omosessualità le sarebbe stato rinnovato. Un'operazione di ipocrisia e discriminazione da manuale, insomma, che, però, non è stata coperta, come sperava chi l'ha messa in atto, dalle paludi dell'insabbiamento. Ma anzi, è diventata un caso esemplare di giurisprudenza. Un precedente, che non si cancella.

Dal canto suo, la madre superiora, sentita dal Corriere della Sera, s'era giustificata dicendo che si era sentita di dover difendere l’istituto "a tutti i costi" perché la scuola cattolica aveva caratteristiche educative ben precise ed era necessario "tutelare l’ambiente scolastico". Tutelare da che cosa, ci si chiede, da un comportamento amorale? Dalla possibilità, per rispolverare la teoria del gender che tanto polverosa in realtà non è, che l'orientamento sessuale della professoressa potesse in qualche modo attecchire sugli studenti (e pure se fosse)? Dal cattivo esempio? Probabilmente, per la religiosa, la risposta a tutte queste domande è sì, e poi ci si domanda quale possa essere la ragione dell'allontanamento dei giovani dal cattolicesimo, che, a differenza di alcune altre correnti del cristianesimo decisamente più progressiste, su questi temi fatica a fare mezzo passo in avanti.

Dopo la sentenza, proprio su questa tendenza all'intrusività da parte di alcune frange del mondo cattolico, l’insegnante disse ai giornalisti presenti che "nulla di peggio si poteva dire a un’insegnante se non che abusava del proprio ruolo per turbare i ragazzi. E sono anche contenta che in Italia si ribadisca che la vita privata di ognuna e ognuno è per l’appunto privata e che nessun datore di lavoro può entrare nelle nostre famiglie e chiedere chi siamo, chi amiamo o se vogliamo come donne abortire o meno".

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