Dieci libri da portare in vacanza. Suscitano emozioni e ricordi, descrivono ambienti e luoghi lontani, forse mai visitati, o ci costringono a vedere la città dove abitiamo con un occhio diverso. Per capire il mondo bisogna vivere il quotidiano. Ci sono scrittori che raccontano benissimo piccole scene di vita, abitudini che sembrano insignificanti e poi ci fanno entrare nella storia del Giappone, dello Sri Lanka, approdare a Città del Messico nei decenni passati. Passare per le nebbie inglesi o avere le allucinazioni sotto il sole mediterraneo. Là dove il tema è pesante e sembra insostenibile, viene in aiuto la scrittura limpida ed elegante, che stempera il dolore o il disagio. Nessun (buon) libro è inerte.

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Giorno di vacanza, Inès Cagnati, Adelphi

“Non ne potevo più”. Una frase, una disperazione spesso ripetuta nel lungo racconto di Cagnati, che torna con un romanzo breve, dopo Génie la matta. Galla la ripete come un mantra, non ne può più di una madre che piange per non farla tornare al liceo, a 35 km da dove abita. Non ne può più di quel villaggio, quel buco nero nel nulla dove è nata lei e le 4 sorelle, tutte femmine, una cieca. Non ne può più della pioggia, dell’umido, delle paludi dove vive, del fango delle strade, dove per mesi è notte anche di giorno. Non ne può più della bicicletta arrugginita, che cigola come un essere morente talmente è vecchia, ma è l’unico mezzo che le permette di tornare a casa ogni 15 giorni, perché non ha i soldi per la corriera. Non ne può più del grembiule verde, ricavato da un abito della zia morta, perché non ci sono i soldi per comprarlo rosa, come hanno tutte a scuola e per questo le compagne ridono di lei, povera, sporca, e i professori non capiscono le sue domande. Non ne può più del padre che la prende bastonate perché non la sopporta. Galla non ne può più di se stessa, perché piange per ogni cosa. E così una domenica, senza avvisare, inforca la bici arrugginita e va a casa per dire alla madre che le vuole bene. Ma il padre non la fa entrare in casa, e la madre non si vede. Alla sera, infreddolita e frastornata torna al collegio, dove tutte, che strano, sono gentili con lei. Qualcosa non va, lo abbiamo capito fin dalla prima pagina. Cagnati rende palpabili le emozioni con le parole sospese, le frasi tagliate, mentre il paesaggio nel suo scrivere è tattile e sonoro. Su tutto scende il colore grigio della cupezza. Mentre il tarlo del dubbio, squarcia piano piano il ritmo del racconto.

Giorno di vacanza

Giorno di vacanza
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Il cerchio perfetto, Claudia Petrucci, Sellerio

Serve una premessa necessaria per inquadrare i protagonisti di questo romanzo, un po’ thriller, un po’ distopico, ambiguo come una caccia al tesoro. Una casa strana a Milano, in Via Saterna vicino al Castello, due donne, Lidia e Irene, due città Roma e Milano e due spazi temprali il 1985 e un ipotetico 2030 o giù di lì, dove a Roma è tutto giallo, per la siccità, e a Milano è tutto bianco per la nebbia che non si solleva mai ormai da anni. Più un ospite involontario (o volontario) che sfuggirà ai più: Via Saterna, non esiste, è un omaggio a Dino Buzzati, che l’aveva inventata nel suo visionario Poema a fumetti del 1969. Il fulcro del racconto è questa casa strana, dotata di vita propria, come quella descritta da Buzzati, quadrata fuori e rotonda dentro che, tra presente e passato, torna a ogni pagina per condizionare la vita e la morte di chi passa la sua soglia. È stata costruita nel 1985 per la giovane ereditiera Lidia Castelli, prossima al matrimonio, da un giovane, quanto travagliato architetto, Dario, sposato con prole. I due si innamorano, ma Dario si sfila, la villa diventa la testimone di un fatto terribile. Salto temporale e Irene, agente immobiliare a Roma, specializzata di aste immobiliari, viene a Milano per vendere la villa di Via Saterna, chiusa da decenni dopo i fallimento dell’ultimo proprietario. I capitoli si alternano tra i ruggenti anni Ottanta, la vita sfortunata della capricciosa ereditiera e il bell’architetto e la vita programmata e meno glamour di Irene, single, che è venuta a Milano anche per avere un figlio, in una clinica della fertilità. Saranno felici i milanesi di vedere la loro città in un futuro prossimo, tra incendi, tra bande criminali e check point tra centro e periferia. Un bel racconto, che gioca col thriller: Irene scoprirà che la casa non è disabitata. Fino al magistrale colpo di scena finale.

Il cerchio perfetto

Il cerchio perfetto
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La bottega dei giocattoli, Angela Carter, Fazi

Una favola gotica, cifra preferita della poliedrica e anticonformista scrittrice, pubblicata negli anni Settanta, che mette insieme romanzo di formazione, erotismo adolescenziale e atmosfere vittoriane. Tanto che non ci si raccapezza in che epoca avvengono i fatti. L’inizio, nella campagna inglese, è brillante e soleggiato. Il seguito, a Londra, sarà cupo e teso come una corda. In entrambi i momenti la Carter, è una sua rinomata abilità letteraria, mette insieme cupezza e umorismo British. Due parola sulla trama: Melanie ha 15 anni, con la sorella Vittoria, una bambina, e il fratello Jonathon, ipovedente, vivono in una villa nella campagna inglese, tra agi e sogni fanciulleschi. I genitori, sono in America a fare non si sa cosa, ma almeno li crescono senza problemi. Una sera Melanie, si guarda allo specchio, si sente grande, potrebbe avere un fidanzato, posarsi, avere un figlio e nel rito propiziatorio di passaggio, indossa il vestito nuziale della madre ed esce nel bosco di notte. Moderna Biancaneve, si impiglia tra rovi e fantasmi. Il giorno dopo, il destino chiede il conto: i genitori non torneranno più. Al senso di colpa di Melanie si aggiunge un futuro nero: i genitori non hanno lasciato soldi ma solo debiti e i tre vengono mandati a Londra da una zia, Margaret, che ha sposato un giocattolaio e vive con i due fratelli giovanotti, Finn e Francie in una casa che sembra l’antro di un inferno. Da qui il racconto cambia, l'atmosfera ricorda più il film, e il romanzo, Sweeny Todd con l’aggiunta di Dickens e i poveri di Londra. La zia è muta dal giorno del matrimonio, i ragazzi sono inquietanti, Finn ha già messo gli occhi su Melanie, ovunque c’è sporcizia. Melanie sente spirare aria di tragedia, poi monta la tempesta, con un finale alla Bronte, che si può non condividere, ma Carter ha un pregio molto raro, sa abbindolare con le parole. Ogni luogo, ogni ambiente, persino i vestiti dei protagonisti, a partire dall’abito di nozze, sono altri piccoli romanzi a sé stanti, che ci portano lontano.

La bottega dei giocattoli

La bottega dei giocattoli
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Le sette lune di Maali Almeida, Shehan Karunatilaka, Fazi

La guerra civile che insanguina lo Sri Lanka dagli anni Ottanta raccontata da fantasmi, spiriti burloni e zombi necrofili e da Maali, fotografo gay e ateo, che crede di dormire e invece è morto ammazzato. Da chi non si sa, è quello che deve scoprire in 7 lune, una settimana, il tempo che gli è concesso per rivivere, con il suo corpo smembrato, gli ultimi istanti della sua vita e poi dimenticare. È quanto gli viene detto in una curiosa sala d’aspetto dove i morti, molti assassinati e mutilati, devono compilare i moduli per trovare la pace e reincarnarsi. Anche la morte ha la sua burocrazia. A volteggiare sulle strade di Colombo lo accompagna un fantasma dalla battuta facile, vestito di sacchi della spazzatura che si rivela essere uno dei tanti ragazzi che ha baciato. Non vuole che Maali dimentichi la sua vita e gli orrori della guerra che ha immortalato con la sua Nikon, che gli pende rotta al collo. Deve ritrovare le foto terribili delle carneficine e farle vedere a tutta Colombo. Utile e istruttivo è l’elenco delle fazioni in lotta tra di loro e con il governo, che Maali stila per far capire ai lettori il disastro che si consuma, e non è ancora finito, da anni nello Sri Lanka. Più vicino al realismo magico di Salman Rushdie che a quello di Garcia Marquez, con accenni ai simbolisti russi, l’autore segue la migliore tradizione del romanzo epico cingalese: imponente, dissacrante, dove spiriti e demoni contano più degli uomini. Vincitore del Booker Prize 2022.

Le sette lune di Maali Almeida

Le sette lune di Maali Almeida
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La cartoleria Tsubaki, Ito Ogawa, Neri Pozza

Un romanzo gentile sull'importanza delle parole, scritte non dette, che perpetua l'idea romantica che abbiamo del Giappone. Ito Ogawa, autrice dalle molteplici voci, scrive canzoni, ha una band e scrive libri per ragazzi, ha il tocco delicato sui sentimenti e sulle relazioni. Come già nel precedente La locanda degli amori diversi, la sua specialità è partire da una piccola storia quasi senza importanza, per metterci dentro il mondo intero, e i valori di un Giappone arcaico, che dovrebbero essere anche quelli attuali della società: il rispetto, l'amicizia, la condivisione, l'aiuto a chi ne ha bisogno. Hatoko ha meno di 30 anni, se ne è andata in Canada a studiare, poi è tornata a Kamakura, nella prefettura di Kanagawa, a Sud di Tokyo, per rilevare la piccola cartoleria ereditata dalla nonna, una calligrafa, diventata, per necessità, scrivana pubblica. Come la nonna, donna severa che l'ha cresciuta e le ha insegnato, a suon di bacchettate, l'arte della calligrafia, Hatoko, più che cartolaia, si ritrova a scrivere lettere e biglietti su commissione. Una lettera mal scritta, non solo non si presenta bene, ma è offensiva, al di là del contenuto, diceva la nonna. Ed ecco che, mentre scrive una lettera di condoglianze per la morte di una scimmia, una lettera d'amore per una scolara undicenne, una dichiarazione di divorzio o una lettera normale per ritrovare un'amica amata, Hatoko, ricorda pezzi della sua infanzia, il momento della sua ribellione alla nonna tanto amata, racconta le riflessioni sull'uso di un carattere o di un alfabeto (nella calligrafia si usano più alfabeti e caratteri), alla fine le lettere diventano quadri artistici, che ammiriamo riprodotte nelle tavole. Anche un gesto banale come mangiare un gelato, Hatoko lo trasforma in un momento delicato, il libro è una serie di piccole trame che sembrano strapparsi al vento. I resoconti puntuali delle visite serali della giovane donna al vicino monastero, durante feste e celebrazioni, rimandano all'eleganza delle stampe giapponesi. Mentre nella cartoleria ai piedi della collina si avvicendano clienti improbabili, nella minuscola casa di fronte al negozio arrivano nuove amicizie, o vecchie conoscenze. E fuori le stagioni danno il nome ai quattro momenti del racconto. Sarà la primavera a sciogliere dubbi e misteri, a portare un'aria nuova nella vita di Hatoko. Un libro da leggere al tramonto e in silenzio, per gustare il suono dei diversi kanji, i caratteri che compongono le lettere della giovane scrivana.

LA CARTOLERIA TSUBAKI

LA CARTOLERIA TSUBAKI
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Punto croce, Jazmina Barrera, La Nuova Frontiera

Un romanzo sull'amicizia, la sorellanza, la solidarietà femminile. E sul ricamo e i suoi benefici: rilassa, tramanda storia e tradizione, unisce, ripara. Le suture sono ricami salvifici. Ago e filo creano e illustrano trame, che si tratti di tessuto, pelle, o sentimenti. Sono diari del quotidiano. Ricama l'autrice: "Punto croce perché è il primo punto che ho imparato", racconta. Ricamano scrittrici e artiste citate nel testo, in brevi intermezzi: le sorelle Bronte, Violeta Parra, Louise Bourgeois, Fleur Jaeggy e molte messicane. Ricamano le tre protagoniste del romanzo: Mila, l'Io narrante, la bellissima Dalia, si sono conosciute a scuola, vengono da famiglie borghesi di città del Messico, e poi Citlali, silenziosa, vive con un padre violento e ubriacone. Sono ragazze colte, studiano, conoscono la letteratura americana, inglese, leggono persino Buzzati. Il racconto va avanti e indietro negli anni, e gira su due importanti fasi della loro vita: il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, con il mitico viaggio in Europa di Mila e Dalia nel 2000, dopo il liceo, prima a Londra e poi a Parigi per incontrare Citlali, che si era trasferita in Provenza e dall'adolescenza all'età adulta. Le tre amiche, si sono allontanate, Mila ha una figlia, Dalia una compagna, Citlali è in Senegal per una ong. Il racconto si apre con una una notizia dirompente. Le disgrazie separano o uniscono. Le tre amiche si sono perse di vista, per pigrizia, per caso, ma quel filo che le legava si era solo allentato, ora è tempo di riannodarlo. Un interessante viaggio in una Città del Messico borghese, tra gli anni Ottanta e Duemila, che guarda all'Europa come riferimento culturale e come fonte di ispirazione dei primi movimenti pro ambiente, anti discriminazione e no gender.

Punto croce

Punto croce
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L'isola della nostalgia, Anne Griffin, Blu Atlantide

Un romanzo che alterna momenti di descrizione di abbaglianti paesaggi delle coste irlandesi, al rumore sordo del dolore che scava nei cuori. Con questo dualismo si apre il racconto dell'autrice irlandese molto amata in patria. Con la storia di Rosie Driscoll, a 49 anni, nata sull'isola immaginaria di Roaring Bay, collegata alla terraferma irlandese dall'unico vecchio traghetto, l'Aoibhneas, guidato da sempre dal padre e per un certo tempo anche da lei, dopo che, prima donna in assoluto, ha preso il brevetto di capitano a 16 anni, invisa e odiata dai maschi dell'isola. A 20 anni Rosie si innamora di Hugh un architetto di Dublino, lo sposa e va a vivere in un bel sobborgo della città, dove presto arrivano due figli, Saoirse e il piccolo Cullie. Sono pagine di magnifiche descrizioni di vento e di scogliere, di tradizioni millenarie di un popolo scontroso, che sa mettere l'onore al primo posto, pescatori, allevatori, gente semplice, di famiglie, non perfette, ma che si amano. E quando ci stiamo abituando alle pagine di romanzo felice, arriva il colpo. Saoirse, racconta Rosie a noi e a se stessa, è scomparsa da 8 anni, non si sa se per sua volontà o rapita da qualcuno. Nessuna traccia, nessun movente. Per Rosie è ancora viva, Hugh non ci crede più. La famiglia è distrutta. Per trovare pace, Rosie torna qualche mese sull'isola per aiutare il padre vecchio e malmesso a portare il traghetto nei mesi estivi. Il racconto procede dal suo ritorno all'isola. Ma non è il racconto del dolore quotidiano, del dubbio, dell'attesa, della disgrazia non preannunciata, c'è anche questo, nei piccoli incipit di ogni paragrafo. È il racconto dei giorni felici di una famiglia, dei vent'anni di Rosie, dei figli piccoli sull'isola delle meraviglie. È il racconto di una comunità dove ciascuno sta per conto suo, ma ha sempre uno sguardo rivolto alle necessità degli altri. Di amori che avrebbero potuto nascere, e di vendette che non si sono sopite. Alla fine, come l'eterno rinnovarsi della natura e del mare che lambisce le coste, il mistero della scomparsa di Saoirse si scioglie, il dolore di Rosie non scompare. ma trova un senso. Il romanzo è dedicato, nei ringraziamenti, alle centinaia di persone scomparse in Irlanda, bambini e adulti, alle famiglie che soffrono e continuano a cercarli e a sperare.

L'isola della nostalgia (Blu Atlantide)

L'isola della nostalgia (Blu Atlantide)
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Gli armadi vuoti, Judite de Carvalho, Sellerio

Un romanzo breve degli anni Sessanta di un'autrice portoghese poco conosciuta e per fortuna riscoperta, modernissima in quel perfetto equilibrio che ha trovato fra la scrittura classica ed elegante e una voce originale. Quattro donne si alternano nel ricordare e nel farsi del male a vicenda: Dora la protagonista, scialba, spenta, sua figlia Lisa, bella, il nuovo che avanza, la gioventù sfrontata, Ana, la suocera, altera, truccata, ingioiellata come una giovane, forte e decisa, ed egoista, Julia, la figlia di Ana, che dice di vedere i dischi volanti, una mente semplice. Due gli uomini, sullo sfondo, Duarte marito di Dora, morto da poco, un uomo scialbo, senza ambizione, indolente, ha lasciato la moglie e la figlia senza soldi, ed Ernesto, uomo di mezza età, bello e ricco in cerca dell'amore e di un figlio. In questo teatrino entra ed esce, certe volte si fa fatica a sentirla, la voce di Manuela, amica di Dora e compagna-amante di Ernesto da anni, lui non l'ha mai sposata perché non poteva avere figli. Con una cattiveria come poche, Ana rivela a Dora un particolare di Duarte che lei non avrebbe voluto mai sentire. Ma sarà un bene perché la costringerà a svegliarsi e prendere in mano la sua vita. Gli armadi sono i luoghi segreti dove riponiamo tutto ciò che abbiamo costruito con le nostre emozioni e con il nostro posto nella vita. I ripostigli di Dora e Manuela sono vuoti o si sono svuotati per colpa degli altri. Nel palcoscenico messo in piedi dall'autrice, tutti perdono, solo Lisa, la giovane, che non ha ancora imparato a ubbidire, a sottomettersi agli uomini e al destino, con la sua scelta azzardata, si prepara a riempire il suo armadio.

Gli armadi vuoti

Gli armadi vuoti
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L'estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi, Tatiana Tibuleac, Keller

Un romanzo sul rapporto madre-figlio, che procede come una scala, erta ripida, che non mostra la fine. La percorre Aleksy, voce narrante, 16 anni, immigrato polacco a Londra, adolescente problematico, droghe, acol, epilettico, con deliri frequenti, una mente debole e un animo instabile. Il ragazzo odia sua madre, sono rimasti soli dopo che il padre ha sposato una polacca più giovane. Una coppia di falliti. Aleksy racconta il presente e ricorda il passato, descrive sua madre con le peggiori parole, ne parla con livore, rancore, cattiveria, sembra voler sputare quell'odio che da otto anni tiene dentro quando, alla morte della sorellina Mika, la madre è rimasta muta per sette mesi, lo ha allontanato come un cane rognoso. Voleva essere sola nel suo dolore, proprio quando Aleksy aveva bisogno di lei, dei suoi abbracci. Non ora. È la fine della scuola e Aleksy ha in programma di andare tre mesi ad Amsterdam con due amici più fatti di lui. Ma la madre lo convince, con la promessa di un'auto e dei soldi, ad andare con lei in un paesino del Sud della Francia a passare l'estate. Perché quella sarà la loro ultima estate. Arrivato al clou della rivendicazione e della sofferenza fisica, il romanzo cala i toni, Aleksy scopre un'altra madre, bella, combattente, decisa, le sue parole d'odio si trasformano in amore. Una tenerezza infelice avvolge la sua durezza. Un percorso di crescita, di guarigione, di formazione senza un epilogo felice, anche se Aleksy diventerà famoso e il suo cervello malato si placherà. L'unica sua vittoria è poter raccontare il passato. La madre aveva gli occhi verdi, era il riflesso delle persiane della piccola casa in campagna. Un'oasi di pace, che non si ripeterà più nella loro vita.

L'estate in cui mia madre ha avuto gli occhi verdi

L'estate in cui mia madre ha avuto gli occhi verdi
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La foresta trabocca, Ayase Maru, Add

Una moderna favola giapponese che strizza l'occhio ai Manga, recupera la tradizione letteraria fantastica e, tra ironia e sarcasmo, parla di discriminazione di genere, di pregiudizi e, soprattutto, della situazione femminile oggi in Giappone, un paese molto diverso dalle atmosfere tranquille e confortanti di Ito Ogawa. Rui, moglie e musa del celebre scrittore, Nowatari Tetsuya, stufa di essere usata dal marito come protagonista dei suoi romanzi, manipolata da lui, in quanto meno colta, e forse anche tradita con una giovane aspirante scrittrice, durante una festa a casa, divora un'intera scodella di semi, la innaffia con una bottiglia d'acqua e si trasforma in una foresta. Lo scrittore invece di portarla in ospedale, la usa come soggetto di un nuovo fortunato romanzo. Attorno agli alberi che ben presto germogliano dal corpo di Rui, invadono la camera da letto, colonizzano il giardino e diventano una foresta invalicabile, si muovono personaggi, quasi sempre in coppia, che soffrono problemi seri: incomunicabilità, competizione, frustrazione, discriminazione. La giovane amante, Rui ci aveva visto giusto, che viene usata e poi gettata da Tetsuya; il vecchio editor dello scrittore che scioccato dalla fine di Rui, non ha il coraggio di parlarne con la moglie, lei lo abbandona credendo abbia un amante. La giovane editor che ha preso il suo posto, mentre fa di tutto per ingraziarsi i colleghi maschi, sopporta in silenzio un marito che parla solo dei suoi problemi di lavoro. Poi c'è la coppia principale: Rui e Tetsuya. Si ritroveranno alla fine, in un lungo cammino tra sogno e realtà, dentro quel bosco che travalica i confini della camera da letto e diventa per Rui l'unico mezzo per essere libera. Per esistere non all'ombra di un uomo. L'illustrazione di Lucrezia Viperina in copertina dà la giusta sensazione di un mostro verde che ci divora.

La foresta trabocca

La foresta trabocca
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