Un "documento strategico ed operativo", un passo in avanti che certifica la piccola rivoluzione silenziosa a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Se c'è una battaglia per cui dobbiamo dare credito a Millennial e Zoomer è quella per abbattere lo stigma legato alla cura della salute mentale. Fino a circa un decennio fa nominare lo psicologo era impossibile senza che intorno calasse un silenzio imbarazzato. Oggi si parla apertamente del proprio percorso di terapia anche con gli sconosciuti in metro, su Instagram spopolano i meme sullo stesso tema e, secondo una recente ricerca di Unobravo oltre 1 giovane su 2 è in terapia o ha già concluso un percorso, e il 46% la considera uno strumento imprescindibile.
Il nuovo Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale 2025-2030 si inserisce sul solco di questa strada ormai tracciata e ha lo scopo, come spiegano Alberto Siracusano, coordinatore del Tavolo Tecnico che ha prodotto il documento e Giuseppe Nicolò, coordinatore vicario di "promuovere interventi efficaci a favore della salute mentale che dovranno essere recepiti e messi in atto dalle Regioni, titolari della organizzazione sanitaria".
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Il nuovo Piano per la Salute Mentale e lo psicologo di base
Il piano, nato dal confronto tramite Tavolo Tecnico tra professionisti, esperti, istituzioni e realtà che operano sul territorio, sembra voler prendere in mano un problema che, specie dopo la pandemia è diventato sempre più pervasivo. Il documento si basa su tre pilastri: il modello bio-psico-sociale, che tiene conto della componente sociale, ambientale e relazionale nella cura della salute mentale; l'approccio one Health/one Mental Health, che finalmente mette in relazione salute fisica, psicologica, ambientale e sociale, in linea con gli orientamenti di OMS e Commissione Europea e infine la centralità della persona come soggetto attivo nel percorso di cura.
In quest'ottica verranno istituiti i Dipartimenti integrati e inclusivi di Salute Mentale con il compito di garantire percorsi di presa in carico multidisciplinari, accessibili, personalizzati. L'obiettivo è mettere in rete i servizi sul territorio dall'ospedale, alla scuola fino al terzo settore. In quest'ottica si inserisce quello che, secondo alcuni equivarrà allo "psicologo di base" (che, però, dovremo vedere quanto sarà assimilabile al medico di base). Viene inserito nel primo livello assistenziale previsto e garantito all’interno delle Case di Comunità in stretta collaborazione con i medici di medicina generale, psicologi, psichiatri e altri operatori. Nel testo, infatti, si legge che il primo livello deve “necessariamente prevedere all’interno della microequipe dedicata la figura dello psicologo psicoterapeuta in maniera tale che sia pienamente integrato nei dipartimenti di salute mentale, selezionato con specifiche competenze psicoterapeutiche e formato (come, in modo similare, avviene per i medici di medicina generale) al lavoro territoriale”. Sarà da capire come nella pratica ci si rapporterà a questa figura, che, è bene ribadirlo, non sostituisce ma affianca lo psicoterapeuta.
Per ora, tuttavia, Maria Antonietta Gulino, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli Psicologi si è detta soddisfatta: "L'inserimento della figura dello psicologo di base nel Piano nazionale per la Salute Mentale 2025-2030 rappresenta un riconoscimento importante della centralità della salute psicologica all'interno del Servizio sanitario nazionale. È un passo decisivo verso la piena attuazione del diritto alla salute, che comprende anche la dimensione psicologica, come previsto dalla nostra Costituzione".
Tra i soggetti più fragili neomamme e adolescenti
Il piano, poi, si focalizza su alcune frange più a rischio della popolazione, come gli adolescenti, le donne in fase perinatale e le persone detenute o coinvolte in procedimenti giudiziari. Per quanto riguarda gli adolescenti, il Piano sottolinea un "significativo anticipo dell'età di insorgenza dei disturbi mentali gravi e dell'aumento della loro complessità, della gravità del fenomeno della sotto diagnosi e di conseguenza il ritardo negli interventi di cura". Del resto è una situazione che gli esperti denunciano da anni. Per questo sono previste equipe di professionisti "di transizione" pensati appositamente per la fase di passaggio tra infanzia ed età adulta.
Anche le neomamme e, in generale, le donne in fase perinatale (quindi anche nel periodo di ricerca di un figlio, anche tramite PMA e nel post partum) sono particolarmente colpite da disturbi di salute mentale: si stima che una donna su cinque sia a rischio di sviluppare un disturbo d’ansia, un disturbo ossessivo controllante o una depressione post partum nella fase prima e dopo la nascita del figlio. Per loro il piano prevede uno screening nel primo trimestre di gravidanza per stimare il rischio e valutare una diagnosi precoce del disturbo dell'umore.