Un attacco diretto a due giornalisti, un tentativo di silenziare due voci scomode, una strategia intimidatoria da parte del clan dei Casalesi: lunedì la Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne al boss Francesco Bidognetti e al suo ex legale Michele Santonastaso per le minacce rivolte nel 2008 allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione.

Le frasi sono state rivolte ai due nel 2008 durante il processo "Spartacus”, uno dei più noti e importanti sulla camorra. Saviano, all'epoca era già sotto scorta mentre, per Rosaria Capacchione, sono state proprio le parole pronunciate in aula a far scattare la protezione rendendola la prima giornalista di un quotidiano a finire sotto scorta dopo anni di meticoloso lavoro sul territorio campano. "Il rischio di un attentato? Preferisco non soffermarmi troppo su questo punto", aveva commentato la giornalista in quell'occasione. Come a dire: vado avanti, non mi fermo. "Guai a dare forza al silenzio, fino a quando qualcuno è in grado di parlarne, bisogna avere la forza della denuncia".



chi è rosaria capacchione, la giornalista minacciata come savianopinterest
AFP

Chi è Rosaria Capacchione

Campana classe 1960, Rosaria Capacchione ha iniziato a lavorare come giornalista nei primi anni ‘80. Ha collaborato con diverse testate tra cronaca nera e giudiziaria e ha scritto a lungo per Il Mattino di Napoli. "Ho cominciato a lavorare come giornalista 45 anni fa, nel 1980, con un contratto da praticante. Poi mi sono “fermata per strada” come tutti o, meglio, come tanti e ho fatto la precaria", racconta Capacchione intervistata dall'associazione Noi Antimafia. Sostiene che occuparsi dei clan non sia stata per lei "una scelta etica" ma piuttosto "un percorso nato dal fatto che ho lavorato come cronista in Campania, un territorio di mafia e mi sono occupata quotidianamente di ciò che accadeva in questa regione, documentando in particolare i fatti che si verificavano a Caserta e provincia".

Capacchione, oggi è in pensione, ma continua a collaborare con diverse testate giornalistiche, come Fanpage e Domani. Nel 2008 ha pubblicato il libro L’oro della camorra, che analizza come i boss dei casalesi abbiano esteso il loro controllo sul tessuto economico di tutta Italia, dal settore degli immobili ai supermercati, fino all’Alta Velocità. Lei non si definisce una scrittrice ma sempre una giornalista, di quelle che lavorano recandosi fisicamente sul campo. "Ciò che è stato più importante per me, per fare bene il mio lavoro", racconta, "è stata la mia presenza costante sul territorio, il vivere in prima persona e raccontare quotidianamente cosa accadeva".

Rosaria Capacchione e il processo per minacce con Saviano

Nel 2008, lo stesso anno della pubblicazione del suo libro, il nome di Rosaria Capacchione è risuonato più volte nell’aula bunker del processo Spartacus. Il nome della giornalista è stato ripetuto e attaccato insieme a quello di Roberto Saviano, del magistrato Cafiero De Raho e del pubblico ministero Raffaele Cantone. Ad accusare i due giornalisti di essere "prezzolati" e di influenzare i giudici, usando toni minacciosi e aggressivi, è stato l'ex legale dei boss Francesco Bidognetti Michele Santonastaso. Ora la Corte d'Appello ha confermato a Bidognetti la condanna a un anno e mezzo di carcere, e a Santonastaso un anno e due mesi.

Intervistata da Domani, Capocchione riflette su un processo lunghissimo, un caso durato 17 anni che l'ha costretta a esporsi come non avrebbe voluto ("Fino al 2008 non trovi una mia fotografia neanche a casa mia. Comparire non mi è mai piaciuto, non è il mio"), ha ridotto il suo lavoro al racconto del clan dei Casalesi e l'ha portata a vivere sotto scorta. "Io sono una cinica cronista di strada, ho smesso di emozionarmi moltissimi anni fa", racconta, "Però mi ha cambiato la vita, non tanto per la presenza fissa della tutela, ormai siamo diventati amici, ma per la inevitabile limitazione degli spazi, della libertà, del tempo. Si può tollerare solo se sei arrogante e pensi di disporre delle persone 24 ore su 24".

Quando, parlando con Noi Antimafia, le è stato chiesto della scomodità e dei rischi del suo lavoro ha risposto citando il lavoro di ricerca di notizie, per fare emergere qualcosa che altrimenti non si saprebbe. "In più di quarant’anni di carriera ho raccontato tutto quello che accadeva e accade in questo territorio, fra Caserta, la sua provincia e nel resto della Campania. Ho parlato degli omicidi, del traffico dei rifiuti, delle guerre di mafia, delle confische dei beni alle organizzazioni criminali, della scalata al potere di alcuni clan e anche di certi personaggi facendone i nomi. In tutta sincerità, i casi che mi sono rimasti più impressi nella mia carriera non sono nemmeno fatti di mafia".