Difendere il Pianeta anche a costo della vita. È quello che accade in Sud America dove ogni anno gli ambientalisti rischiano la vita per tutelare l'ecosistema e proteggere la foresta pluviale più grande al mondo. Allevatori di bestiame, latifondisti, industriali, investitori. Sono troppi gli interessi in gioco quando si parla della Foresta Amazzonica e farsi dei nemici è facile quando si sta dalla parte dei più deboli, come le comunità autoctone che da decenni vengono minacciati di essere espropriati dalle loro terre. Nonostante il recente voto della Corte Suprema in difesa delle 305 tribù del Brasile contro le lobby dei grandi coltivatori, che ha bocciato il provvedimento con cui si voleva negare il diritto di istituire riserve protette a tutti coloro che non fossero stati presenti su quei territori prima dell'entrata in vigore della Costituzione federale, il 5 ottobre 1988, la situazione in America Latina è molto critica per gli indigeni e tutti gli attivisti che lavorano per difenderli.
Stando al nuovo report 2023 di Global Witness, l'Ong inglese che da anni denuncia questo fenomeno, nel 2022 sono stati almeno 177 gli ambientalisti assassinati nel mondo. I numeri certo sono calati rispetto ai 1.920 omicidi commessi dal 2012, anno a cui risale il primo report, ma si tratta ugualmente di cifre impressionanti con una media di un morto ogni due giorni. Sono 125 gli omicidi solo in America Latina, dove le regioni più violente si confermano la Colombia, il Brasile e il Messico. Qui gli attivisti devono fare i conti con l'agroindustria, lo sfruttamento minerario e forestale, che minacciano la sopravvivenza di interi ecosistemi.
Lo scorso anno a pagare il prezzo maggiore sono le comunità di popoli indigeni, con 64 vittime, ovvero più di un terzo (36%) del totale dei casi. Seguono, con il 22% dei casi, i contadini e gli abitanti delle zone rurali, che dipendono completamente dalla terra per il loro sostentamento. Tra le vittime, l'11% del totale sono donne, il 7% leader afroamericani. Ma non è tutto, perché tra i morti figurano anche agenti, manifestanti, ranger dei parchi, giuristi e giornalisti, che lavorano per documentare cosa accade in quelle terre e si impegnano quotidianamente a difenderle dallo sfruttamento. Tra le vittime figurano anche alcuni minorenni, solo nel 2022 sono stati cinque i ragazzi uccisi.
Come anticipato il Paese più pericoloso al mondo per gli attivisti è la Colombia, che detiene il record di omicidi non solo per il 2022 (60 morti), ma anche il record del decennio con 382 omicidi. "Siamo dispiaciuti della morte di queste 60 persone. È una cifra vergognosa per il nostro paese e speriamo di poter invertire questa tendenza con l’implementazione dell’accordo di Escazú" è stato il commento della ministra colombiana dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile, Susana Muhamad alla Corte Costituzionale del Paese. Una mattanza senza fine che troppo spesso resta confinata alla cronaca locale e non raggiunge le prime pagine dei giornali internazionali, ma che invece dovrebbe essere raccontata con coraggio. Si dice che faccia più rumore un albero che cade di una foresta che cresce, ma allora perché gli appelli di così tanti attivisti che danno la vita per il Pianeta restano inascoltati?