È il sogno segreto dei nostri bambini e, da veri nativi digitali, come potrebbe essere altrimenti? Dopo aver passato l'infanzia a giocare con quello di mamma e papà, verso i 9 anni iniziano a chiederne uno tutto loro. Dati alla mano, l’età giusta per gestire in autonomia uno smartphone è 14 anni. Ma è dura non cedere alla richiesta motivata dal classico ”ma ce l’hanno tutti” e non farsi attrarre dalla possibilità di controllare sempre dove sono (le app di geolocalizzazione sono un gran conforto per noi genitori, ammettiamolo).
Se però pensiamo che nostro figlio sia abbastanza maturo e responsabile da poterne possedere uno, cediamo pure, ma stabiliamo le condizioni. “Come ogni cosa, i problemi nascono quando dall’uso si passa all’abuso” sottolinea Dott. Michele Facci, psicologo e psicoterapeuta, e co-autore anche del libro Generazione Cloud. Essere genitori ai tempi di smartphone e tablet (Erickson). Ecco la sua opinione e i suoi consigli:
“Credo sia opportuno accompagnare i bambini nell’esplorazione dell’uso di device tecnologici in modo guidato e consapevole, rispettando le regole. Se li abituiamo fin da piccoli a queste norme, in adolescenza sapranno come gestire un utilizzo sano e consapevole della tecnologia. Scegliamo uno smartphone congruo alla loro età, non è necessario che sfoggino l’ultimo modello super tecnologico e costosissimo, anche usato va benissimo: devono riconoscere comunque il valore economico dell’oggetto, capire che non è un giocattolo. Installiamo subito un sistema di parental control, agiamo da supervisori (dobbiamo conoscere le password, monitorare app, siti e cronologia delle pagine visitate) e stabiliamo una sorta di “contratto d’uso”: io ti do lo smartphone, ma devi sapere che sarà sotto il mio controllo in veste di responsabile della tua educazione e sicurezza. Utile condividere anche i costi del consumo dei dati di traffico, magari destinandovi una parte della loro paghetta, per insegnargli i rudimenti dell’economia e della gestione del budget. Le regole vanno stabilite insieme, tra accordo e mediazione, tenendo fermi alcuni divieti tassativi: mai a letto o durante il pasto, o mentre si studia a meno che non lo si usi come supporto per ricerche, a scuola poi è vietatissimo.
Per i tempi, invece, non c’è una formula magica: chattare per mezz’ora di fila può essere troppo, specie se tale attività lo isola dal mondo esterno, meglio lasciarli liberi di controllare e rispondere magari quando si riceve un messaggio ad esempio. Occorre osservare come lo smartphone è inserito nella vita quotidiana del bambino: se fa sport, attività, giochi e interessi differenti non è il minuto in più sul cellulare che potrà ledere la sua crescita.
Va detto, però, che a volte il vero obiettivo non è il telefono in sé, ma le app che si possono usare, soprattutto i social: in questo caso, prima dei 14 anni sarebbe meglio accedervi solo attraverso lo smartphone dei genitori, navigando assieme. Si tratta di un compromesso che accontenta il figlio e che offre un’occasione educativa, sfruttando il tempo trascorso assieme a guardare i social per guidarlo a un uso consapevole, informandolo sui pericoli della condivisione in rete, sul rispetto della privacy (non si pubblicano dati sensibili, indirizzi di casa etc…) e dell’immagine propria e altrui (non si scattano o postano foto senza permesso, la sovraesposizione non è mai un valore), a distinguere i contenuti buoni da quelli meno buoni, e insegnargli a non subire passivamente le scelte imposte dall’algoritmo. Ricordiamoci che i social sono il primo facile strumento di accesso cyberbullismo: anche dopo, quando saranno più grandi e avranno un profilo loro, ricordiamogli di mantenere i profili privati e di accettare amicizia solo persone che conoscono.
Lasciamo comunque che usino anche la messaggistica chiedendogli di provare a comunicare usando meno emoticons, incitandoli a sviluppare più la capacità di esprimere le emozioni con le parole e non solo con le immagini, usando anche i messaggi vocali, che hanno un risvolto psicologico da non sottovalutare: scegliere le parole giuste e il tono più adeguato per dirle, fa parte dell’educazione emotiva di cui i nostri figli hanno tanto bisogno. Se risolvo un’emozione con una faccina, come posso pensare di saper affrontare stress e turbamenti più grandi? Ultima cosa, ma non per importanza: rispettare gli accordi presi e fornire un modello da imitare, mettendo da parte il cellulare quando siamo con loro, durante il pranzo, o mentre siamo sugli spalti ad assistere alle loro partite… L’esempio educa meglio di qualsiasi regola.
(Dott. Michele Facci, psicologo e psicoterapeuta, si occupa in particolare di infanzia, adolescenza e genitorialità. www.studiopsicologiafacci.it).