La notizia che la partecipazione di Tony Effe al concerto di Capodanno è stata revocata a causa delle parole misogine contenute all’interno suoi testi giunge quasi contemporaneamente al verdetto del processo contro Dominique Pelicot. Distanti solo in apparenza, le due vicende in realtà comunicano, sono speculari, più di altre descrivono l’attuale esistenza delle donne. Come molti sanno, Dominique Pelicot è accusato di aver violentato e fatto violentare la moglie per circa dieci anni. All’interno del loro appartamento nel villaggio francese di Mazan, le somministrava massicce dosi di ansiolitici e sedativi di vario tipo e poi lasciava che sconosciuti del circondario, uomini di fatica, idraulici, facchini, imbianchini, informatici, ex militari, giardinieri e ristoratori penetrassero nella camera da letto in cui dormiva per abusare di lei. Sembra li adescasse su Internet per poi riprendere, registrare gli atti sessuali con la telecamera. Il suo computer letteralmente pullulava di contenuti pornografici, rivelatisi le eclatanti prove indiziarie intorno alle quali è ruotato l’intero processo.

In appena tre mesi, decine di uomini sono state convocate alla sbarra, padri di famiglia, signori per bene, quasi tutti condannati in primo grado con pene che variano dai sei ai quindici anni di carcere, quasi tutti colti in flagranza di reato ad approfittare sessualmente di una donna incosciente, di una donna di mezza età non presente a se stessa, narcotizzata. A prescindere dal grado di cieca perversione di Dominique Pelicot, del distruttivo sadismo del suo operato, cosa ci dice una circostanza del genere a proposito di questi uomini? In che modo li qualifica? Interrogati, interpellati, sollecitati a deporre dichiarazioni, molti si sono difesi sostenendo di non essere affatto consapevoli che Gisele fosse priva di sensi, dunque incapace di esprimere il proprio consenso, rendendo l’atto sessuale, a livello giudiziario, uno stupro in piena regola. Dunque, che pensavano? Come valutavano la scena e i suoi dettagli? Credevano ingenuamente consistesse in un gioco tra marito e moglie, di uno scherzo imbastito ad arte da entrambi. E anche se così fosse stato? Dove inizia e dove finisce la regolazione morale di un individuo, disposto a penetrare a notte fonda nella casa di un altro, un altro che non ha mai visto, per sfogarsi sessualmente su un corpo incapace di intendere e di volere in cambio di denaro e poi rientrare all’interno della propria vita, dai figli, dalla compagna?

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Gisele Pelicot.

La variegata eterogeneità di queste persone, il loro essere diversi gli uni dagli altri, le molteplici e differenziate appartenenze sociali indicano che davvero si tratta degli uomini comuni che ogni giorno sfilano indisturbati attraverso il perimetro urbano, simili a tutti e a nessuno, non diversi dagli altri e perciò qualunque, ciascuno, chicchessia. È il maschile, lo spettro del maschile che, pur nelle sue eccezioni e nelle sue ramificazioni particolari, si dimostra invariabilmente compromesso da una sessualità prevaricatrice, promiscua, unilaterale. La cultura sessuale che li precede, dalla quale sono stati nutriti vede molti uomini cercare e desiderare il coito alla stregua di un meccanismo fisiologico, un impulso da espletare. Ovunque esso si trovi, ovunque esso si annidi, da chiunque esso provenga. È un’indole che oscilla latente, carica di sentori temibili, tanto che le donne da sempre convivono con il rassegnato, a tratti indulgente sospetto dell’ambivalenza sessuale di padri, fratelli e fidanzati, sanno che l’esercizio del loro erotismo contiene qualcosa di lascivo, di incontinente, forse di violento, che potrebbe manifestarsi, irrompere inaspettatamente.

Questa tendenza maschile di aderire all’impeto carnale come fosse un imperativo, qualcosa di irresistibile, al quale non si può rinunciare e neanche dire di no, ha generato e condito tutte le narrazioni del rapporto tra gli uomini e donne. Rappresenta un’eredità, un patrimonio della dialettica tra i sessi con cui si entra in contatto a partire dall’infanzia, accettandola come fosse un dato di fatto, qualche cosa di incontrovertibile, stabilito e deciso dall’ordine naturale delle cose. La massima secondo la quale “gli uomini ragionano con il pene e non col cervello” è l’approssimazione posticcia di un universo di senso per cui sono gli ormoni a regolare le differenze di genere: del resto, anche le donne, in virtù di sbalzi ormonali, sarebbero biologicamente sentimentali, umorali, un po’ nevrotiche e predisposte alla maternità, all’accudimento e ai lavori di cura. Impiegano anche molto tempo a ordinare al ristorante.

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Ivan Romano//Getty Images

Che Tony Effe sia finito nel mirino degli affari interni al Campidoglio è il tentativo ultimo, abborracciato della politica di intervenire su un sistema schiacciante, sbilanciato, causa di continui fraintendimenti nella percezione del desiderio e nella sua successiva elaborazione. Questo non significa epurare la società dal negativo né tantomeno dalle avanguardie artistiche che denunciano e raccontano le insite, scomode verità racchiuse al suo interno. Sorge però spontanea una domanda: di quale scomoda verità si starebbe facendo carico Tony Effe? Quella delle ragazze "ordinate da casa come su Deliveroo"? Quella di lui che comanda lei come fosse un joystick o quella di lei che viene solo quando lui la mena? Perché una tale narrazione altro non è che un consapevole ammiccamento a un’influenza musicale che vive di inique rappresentazioni del sesso e dei soldi. L’abbiamo definita “arte” solo perché fattura milioni di euro ogni anno, ma non è arte tutto ciò che ha successo e non è un artista colui che dice ciò che vuole.

Per anni il sistema economico e politico ha elargito il suo beneplacito e il suo consenso a qualunque fenomeno culturale risalisse la corrente della scena mediatica. Non in virtù di un principio democratico, ma in quanto veicolo di denaro, di consumo. Penalizzando, paradossalmente, proprio le realtà letterarie, musicali e cinematografiche che davvero intendevano costruire un’idea di mondo, favorire una contestazione, nutrire un dibattito. Poiché oggi le canzoni di Tony Effe sono sotto gli occhi di tutti ci si augura che anche l’idolatria del pubblico si plachi e torni ad attribuire con più veridicità l’appellativo di artista, la definizione di censura, e anche quale cantante invitare a un evento pubblico, finanziato con i tanto vituperati fondi statali.

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