Trieste è un atto di volontà. Non è uno di quei posti che “mi son trovata a passare di qui per caso”. Trieste te la devi guadagnare, almeno da dove abito io (Milano). Arrivo a Venezia Mestre per il cambio di treno e penso è fatta. Invece mi attende l’Interregionale che sciorina tutte le fermate - San Donà di Piave, Portogruaro Caorle, Latisana Lignano B, Cervignano A. G., Trieste Airport, Monfalcone - e se ne ho dimenticata qualcuna probabilmente dormivo. Appena scesa a Trieste Centrale, però, il mood di smania/noia autoferrotranviaria si dissolve. Il mare e la silhouette della città che si fronteggiano raccontano un viaggio nello spazio e nel tempo. Il viaggio nello spazio fluttua sul tappeto liquido del Mediterraneo che si srotola a perdita d’occhio fino all’orizzonte. Quello nel tempo ha, tra le sue molte tappe, la grandeur dei palazzi testimoni dell’anima commerciale della città; i monumentali luoghi di culto, attestazione della placida convivenza tra popoli; le statue degli artisti - Joyce, Saba, Svevo - che qui hanno coltivato la loro ispirazione. Trieste che parlava l’italiano anche quand’era asburgica. Trieste mitteleuropea. Trieste cosmopolita. Trieste che, se ci arrivi, spesso non te ne vai più. Come il signore che incontro al bancone del Tommaseo, il più antico caffè cittadino, che abita qui solo da un paio d’anni "ma ormai sono triestino" e mi spiega come ordinare un macchiato: "Qui, il caffè macchiato si chiama capo, chiedilo in B se lo vuoi nella tazzina di vetro. L’espresso è il nero e il cappuccino è il caffellatte". Trieste, che parla una lingua tutta sua e al bar la gente trova il tempo di scambiare due chiacchiere, non se ne va teletrasportata dall’ho troppo da fare. Trieste, che non è friulana, ma giuliana. E appena esce il sole, tutti con il naso in su a prenderlo in spiaggia, sul lungomare, ma anche ai tavolini dei bar. Finché i barbagli del tramonto non si spengono nei riflessi cremisi dello Spritz con il Select.
Charme continentale
Il cuore cosmopolita di Trieste - che fa dell’essere universale il centro di gravità permanente della “triestinità” stessa - batte forte all’Hotel Continentale. Uno degli alberghi storici della città che un recente restyling ha fatto rinascere come perfetto rifugio per integrarsi nel genius loci. Siamo in pieno centro, proprio di fronte alla Libreria Antiquaria Umberto Saba, anch’essa da poco rinata a nuova vita. L’Art Deco degli arredi del Continentale ha lo charme della Mitteleuropa, tra paglie intrecciate Thonet e pavimenti optical. Alla carta da parati floreale nella hall, l’onere di dare un twist Art Nouveau. Bello fuori e dentro, il Continentale: con le sue quarantasette camere “è il primo edificio storico al mondo a ottenere la prestigiosa certificazione LEED Gold for Interior Design and Construction Hospitality, uno dei riconoscimenti più autorevoli al mondo in tema di edilizia sostenibile”.
Ai tavolini della Tea Room, il bar dell’hotel, un’umanità eterogenea. C’è un terzetto di nomadi digitali, due scrivono al computer, il terzo è collegato in video call con chissà dove. Un manipolo di eleganti signore chiacchiera davanti a tazze e teiera. Un cagnolino - il Continentale è pet friendly - sta accoccolato ai piedi del padrone che sfoglia un quotidiano. Nessuno di loro soggiorna all’hotel, sono triestini che in questo salotto trovano il loro buen retiro urbano. Ai tavoli del Café Continentale, il ristorante di fine dining, gli ospiti dell’albergo indugiano con la prima colazione servita à la carte. Adocchio dei pancake, so già cosa ordinerò domattina.
L’hotel Continentale riassume bene la filosofia della The Begin Hotels, collezione che conta - a oggi, ma l’espansione è dietro l’angolo - sette indirizzi italiani. Ovvero, bello accessibile, non omologato, in dimensione boutique per soggiornare in luoghi appartati dalle rotte turistiche più inflazionate. Avamposti di quel no overtourism che è l’unico futuro sostenibile per i viaggi: Ancona, Portonovo, Ferrara, Alliste nel Salento verace e, appunto, Trieste con tre indirizzi. Al Continentale, nel giro di un isolato, fanno da corolla The Modernist e le Palace Suite, per chi vuole un intero appartamento a sua disposizione.
Chef Leonardo Concezzi, dopo un’esperienza nei più blasonati hotel del Pianeta, oggi sfama sia gli ospiti del Continentale sia quelli del The Modernist. Il primo assaggio della sua cucina ce l’ho durante una cena nel secondo. Tanto il Continentale è classico, tanto il The Modernist sfodera un design urban. Per il suo ristorante, The Modernist Bistrot, Chef Leonardo ha concepito un menu fusion che fa il giro del mondo dall’Asia all’America Latina, tra ciotole di platano fritto, tacos e ceviche. Da dividere con gli altri commensali e da annegare in cocktail che osano con la mixology. "Ti piace un tocco speziato?", mi chiede il bartender Bruno Mattia mentre la musica del dj set fa da sottofondo.
Castello sul mare
Il mio primo pomeriggio triestino profuma di pioggia. Tempo ideale per ripararsi nel castello di Miramare, candido avamposto della città. Promontorio bianco aggrappato lungo la costa, racconta la storia dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo (1832-1867) e della sua sposa, la principessa Carlotta del Belgio (1840-1927). Mentre il fratello maggiore, Francesco Giuseppe, diventa imperatore d’Austria, lui si dedica ai viaggi e alla creazione, insieme alla moglie, di questa dimora. Che arreda con pezzi da tutto il mondo e con l’entusiasmo della gioventù. Il risultato è una bomboniera, grammelot eclettico dall’irresistibile fascino kitsch. Massimiliano muore appena trentaquattrenne fucilato dal Messico rivoluzionario, Paese del quale per un’accidentata parentesi è stato relegato a farne da improbabile imperatore. Carlotta gli sopravvive sessanta terribili anni scanditi dalle nebbie e dalle angosce dell’instabilità mentale. A rivivere questa triste storia, anche il cielo piange. Quando finisco la visita del castello, infatti, piove a dirotto e non posso visitare gli opulenti giardini che lo circondano. Poco male, a Trieste so già che tornerò.
Sulle ali del vento
La mattina dopo, una provvidenziale bora ha spazzato via le nuvole. Visitare la città schiaffeggiata dal suo iconico vento è un’occasione troppo ghiotta, così come i pancake che mi aspettano per la prima colazione al Cafè: trovo così la spinta per lasciare la comodità avvolgente della mia camera al Continentale. A guidarmi nella visita della città, il direttore del Museo della bora, Rino Lombardi. Che ha messo a punto un itinerario attraverso “I luoghi della Bora”, gli angolo della città dove trovarsi faccia a faccia con le mitiche raffiche. Mentre ci arrampichiamo verso il castello di San Giusto che domina la città affiancato dalla Cattedrale, una deviazione ci porta lungo via della Bora, dove un corrimano in ferro arpionato al muro degli edifici aiuta i passanti a non volar via. Rino spiega che la bora viene definita "scura, quando il cielo è coperto e piove; chiara, quando splende il sole". Quest’ultimo è il nostro caso, fortunata condizione meteorologica che mi consente di ammirare un scenografico fenomeno: le montagne innevate che svettano nel cielo terso sul mare del golfo. A rifocillarmi dopo la passeggiata ci pensa Ervin Rama, patron della bottega SET - Sapori Eccellenti del Territorio, e del ristorante che gli sta di fronte, Radici. Due nomi che riassumono senza giri di parole l’offerta gastronomica dei suoi locali. Tra un piatto di cjalsons - i ravioli tipici - e di polenta con il frico - tortino di patate e formaggio - Ervin racconta che tutte le settimane va in giro per i piccoli produttori del Carso a recuperare le materie prime. A Trieste avranno anche un modo tutto loro per chiamare il caffè, ma c’è una parola compresa universalmente che lo riassume: Illy. L’azienda nota in tutto il mondo per la produzione della bruna bevanda ha il suo quartier generale a Trieste: sede, stabilimento e anche Università del caffè. Metto alla prova le mie papille partecipando a una degustazione organizzata proprio da questa autorità in materia. Mi diverto a dare un punteggio a caratteristiche come dolcezza, corpo, acidità…
Prospettiva zenitale
Dal primo febbraio è stato rimessa in pista la storica trenovia di Opicina, un tram bianco e blu che dal centro città sferraglia lungo un dislivello di 329 metri fino a Opicina, quartiere di Trieste sull’altopiano del Carso. Non posso non farci un giro, anche perché la giornata si sta congedando con un tramonto infuocato che, visto dall’alto, promette un grande spettacolo. Le ragazze di fianco a me sulla carrozza sono triestine: "Eravamo molto curiose di provare il vecchio/nuovo tram". In alcuni punti, la pendenza è tale (26%!) che mi devo puntellare con i piedi per non scivolare dal sedile. Scendo al belvedere Obelisco appena in tempo per vedere il sole inghiottito dal mare. Le luci delle città che si accendono una a una lo salutano occhieggiando come stelle. Non faccio neanche una foto, voglio solo godermi l’attimo.