In pochi possono capire quello che ho provato quando ho visto Nino, 2 anni, staccare dal mio albero uno dei miei addobbi preferiti, la renna di legno con il tricot bianco e rosso e una fascina di ramoscelli sul dorso. «Da bravo, restituiscila», gli ha sussurrato il papà. «No», ho sentito. Un no bello deciso, da teppista. Un’altra, al mio posto, avrebbe sorvolato: «Non ti preoccupare piccolo Nino, la puoi tenere», carezzina. Avete presente Fonzie quando non riusciva a dire “ho sbagliato”? «Puoi tenerla... ancora un pochino», ho detto invece, con un filo di voce sul calare. «Lo facciamo tutti insieme?»

christmas decor for home or gift christmas tree and snow globe with santa clauspinterest
Elena Noviello//Getty Images

Me l’hanno chiesto per anni i miei figli. Fare l’albero tutti insieme è un momento celebrato da film, pubblicità e serie tv. #mammedimerda sareste fiere di me. Avete presente come fanno i bambini, mettono tutti gli addobbi appiccicati, senza un criterio cromatico o tematico... Arrunzat, direbbero a Napoli. Con il brontosauro tra un simbolo della pace e uno specchietto anticato con laccetto di velluto. «Cominciate ad aprire i rami dell’albero», dicevo. Quelli pieghevoli, artificiali. È un’operazione noiosissima e dolorosa, pungono, graffiano. Dopo sette minuti al massimo abbandonavano. «Però chiamaci quando metti le palline». Certo. Loro sparivano e io accendevo la musica. Ciao ciao.

Quest’anno All I want for Christmas is you compie trent’anni. Lo sapevate che un contadino inglese ha scoperto che, proprio ascoltando la canzone di Mariah Carey, le sue capre davano un quarto di latte in più? Io, però, sono sempre stata #teamWham. Last Christmas (cinque miliardi di stream) celebra i quaranta e ri-esce in vinile in edizione limitata: basta la prima nota per scatenarmi una gioia violenta, un groviglio di adolescenza e brillantini, veglioni di fine anno, sguardi struggenti e primi baci rubati, o sguardi rubati e primi baci struggenti. C’era sempre qualcuno che soffriva per il bacio di qualcun altro. Ecco. Se potessi chiudere in uno scrigno un’emozione sarebbe quella del primo bacio. Di tutti i primi baci. L’attimo prima del contatto, quello che ci turba anche al cinema. È vero che l’amore dura finché te lo ricordi. L’ultimo primo bacio.

Ho quattro contenitori pieni di addobbi. In una vecchia scatola di Tiffany ci sono quelli a cinque stelle. Arrivano quasi tutti dal Christmas shop di Liberty London, che apre ad agosto. Ho la tessera, ça va sans dire. Altro indirizzo top Petersham Nurseries, a Richmond. Sono in attesa di una capretta con la collana e la borsa, un topolino con la salopette di jeans e una cerbiatta con il maglioncino fucsia. #mammedimerdasarestefieredime2: gli orrendi lavoretti di Natale con pasta colorata e semi di zucca da appendere all’albero? Misteriosamente spariti, caduti, rotti, versato sopra il caffè... Insegnanti di tutti gli ordini e gradi, sul mio albero ci sono palline di Dior e Paul Smith, non scherziamo. Luci solo bianche e, ultimamente, niente festoni. Un anno l’ho riempito solo di fiocchi fatti con nastri colorati gros grain. Niente male.

Comunque ho capito perché. Per nove anni (la durata del mio primo matrimonio) il Natale mi è stato “scippato”. Parenti (suoi) lontani, le due settimane di vacanze via, albero non mio. Dopo una faticosa risalita, nuova vita e il mio primo vero Christmas tree. La mia luce. Era tornata. Non ci ho rinunciato neanche l’ultimo Natale di mio papà. Se n’è andato il 30 dicembre ma, tre anni dopo, tenevo in braccio il mio terzo figlio che si chiama come lui. Pace fatta con Santa Claus.

Sì, ma quando?

La tradizione barese dice che l’albero si fa il 6 dicembre, il giorno di San Nicola, la milanese il 7, a Sant’Ambrogio; i cattolici in generale all’Immacolata. Io dico: quando ne senti il bisogno, sorella. Chiara Francini ne ha tre, li tiene addobbati e accesi tutto l’anno, tornare a casa e vedere le lucine che sfrigolano le mette gioia. Il suo fidanzato Fredrick se n’è fatto una ragione. Io non sono mai arrivata a tanto, anzi, ho bisogno dell’attesa. Ci penso da settembre, quando comincio ad assaporare l’autunno e a fantasticare sull’inverno, la mia stagione preferita. Tisane, vellutate e capispalla. Comprerei solo “cappotti di Linus” (protezione estrema per difendermi dal mondo?). Un tempo c’era anche la neve…

Entro la prima metà di novembre, il mio albero è fatto. E me lo voglio godere. A Natale non si parte, si torna. E si gioca a Catan, si guarda Love actually, si mollano gli ormeggi, esplodono i non detti, tanto poi si beve. A casa nostra abbiamo una tradizione: “La festa degli amici” (dei figli), da quando il grande vive a Londra. È nata perché, appena tornava, ogni sera, c’era un amico da salutare. Allora li invitiamo tutti a cena. Li ho iniziati alla tombola. Trentenni ipertecnologici e giramondo che non sapevano come si fa quaterna. Uno dei suoi migliori amici ha avuto un figlio, il Nino del maltolto. Perciò i pezzi migliori, da quest’anno, vengono appesi dal metro in su.

Ho una famiglia allargata a due e quattro zampe. L’unica volta che ho chiesto al mio secondo marito di aiutarmi a fare l’albero ha montato i pezzi al contrario, ma dice che è stata una scelta. Meglio se faccio da sola, è il mio momento di meditazione. Se ci penso sto già meglio.