In Italia cresce il numero di donne manager, ma appena una donna sue due in età lavorativa risulta occupata. Precisamente si tratta del 51% contro il 69% degli uomini, con percentuali inferiori al 40% nelle regioni meridionali. È questa la maggiore contraddizione di un Paese che è agli ultimi posti tra i Paesi europei per partecipazione femminile al lavoro, ben al di sotto di Germania (75%), Francia (68%) e Spagna (64%). Nonostante l'impietosa statistica, che vede l'Italia al di sotto di circa 13 punti percentuali rispetto alla media Ue, qualcosa si muove.

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Secondo l'ultimo report "Donne e lavoro in Italia" di Rome Business School, a cura di Carlo Imperatore, direttore generale Federmanager Roma Lazio e Valerio Mancini, direttore del Centro di ricerca divulgativo di Rome Business School, nel 2024 le donne rappresentano il 36% dei manager, un dato record che registra un trend positivo di aumento della presenza femminile in ruoli di responsabilità. Tuttavia, la percentuale di donne su tutte le posizioni manageriali (che includono vari livelli di responsabilità) è più bassa, pari al 28%. Ciò suggerisce che, pur essendo cresciuto il numero di donne in ruoli manageriali, la loro distribuzione non è uniforme nei vari livelli della gerarchia aziendale. Il divario si amplia ulteriormente se si considerano le posizioni regolate da un contratto dirigenziale, dove le donne rappresentano appena il 18%. A dimostrazione che più si sale nella scala gerarchica, più la presenza femminile diminuisce significativamente, e che c'è ancor molto lavoro da fare per raggiungere la gender equality.

Preso atto che nessun Paese ha ancora raggiunto la piena parità di genere e che, ai ritmi attuali, si dovrà attendere il 2158, in Italia i fattori che ostacolano maggiormente l'ascesa delle donne in posizioni apicali (solo il 31,5% dei membri dei cda delle società quotate in borsa sono donne) sono la difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e maternità, la ridotta presenza nelle carriere Stem (dall'inglese science, technology, engineering and mathematics) — dal momento che a studiarle sono solo il 17% delle ragazze, rispetto al 39% dei maschi — e il ricorso massiccio alle formule di lavoro part-time, specialmente dopo la maternità.

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Gli obiettivi stabiliti dall'Agenda 2030 dell'Onu sembrano lontani per il Bel Paese. E infatti ai primi posti del Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum si trovano l'Islanda (93,5%), la Finlandia (87,5%) e la Norvegia (87,5%). L'Italia è all'87°, in calo rispetto al 79° dell'anno precedente, perdendo ben 24 posizioni in soli 2 anni. Nel 2024 la differenza tra l'occupazione delle donne e degli uomini in Italia è stata di 18 punti percentuali. "Il gender gap in Italia è alimentato da stereotipi di genere e dalla carenza di servizi di cura", afferma Carlo Imperatore. "Visioni tradizionali limitano le scelte professionali delle donne, mentre la scarsità di strutture per l'infanzia e l'assistenza agli anziani ne ostacola la partecipazione al lavoro". Inoltre il tasso di disoccupazione femminile è quasi il doppio rispetto a quello maschile (8,4% contro 4,9%), il che dimostra una maggiore vulnerabilità nel trovare e mantenere un impiego stabile. Significativa rimane anche la differenza salariale con le donne che guadagnano in media il 10,7% in meno, con un divario che raggiunge il 27,3% nei ruoli dirigenziali. "Questa mancata rappresentanza ha un impatto negativo sulle politiche di parità di genere e sulle opportunità di crescita per le donne. Questi fattori, intrecciati tra loro, rendono ancora difficile il raggiungimento di una piena uguaglianza di genere in Italia".

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